Master of the Universe

Rainer Voss, già broker di alta levatura al soldo di banche e società d’investimento tra le più spericolate della Germania post-Muro. Un grattacielo abbandonato, ex-edificio bancario situato nel cuore finanziario di una Francoforte mai così impersonale e asettica. Fotografia gelida, ad altissima definizione, che quasi per un attimo ci regala l’illusione di essere in un legal-thriller USA o alle prese con un noir scandinavo della generazione “Millenium Trilogy”. Fragile illusione: l’iperrealismo, per una volta tragicamente attuale, aderisce in pieno alla realtà. Su questi elementi, scarni e stringenti, il regista tedesco Marc Bauder imposta la sua narrazione dello spietato mondo dell’economia finanziaria.
Vincitore del Premio della Critica a La Semaine de la Critique di Locarno e candidato agli European Film Award 2014, Master of the Universe, che adesso arriva coraggiosamente nelle nostre sale, è una relazione paradigmatica della prospettiva contemporanea che vede l’uomo come mero fattore di scambio economico. Le parole lucide e disincantate di Rainer Voss, spettro di un cinismo, ahimè, teutonico sino al midollo, tracciano l’identikit di che cosa si situi realmente dietro il trito e infinito bla bla bla su “banche, finanza e borse” cui, ormai da troppi anni, certa stampa e militanza politica(nte) ci hanno assuefatto.
E lo stesso Voss, inevitabilmente, diviene un pallido correlativo oggettivo dei nostri tempi svuotati e spersonalizzati mentre si aggira, proprio come uno spettro, per le sale vuote del grattacielo, parlandoci nel dettaglio di cambi di tassi d’interesse, dello strapotere delle banche nell’agitazione delle borse, della differenza sempre più spiccata fra economia reale ed economia finanziaria, dell’interconnessione a livello globale delle transazioni monetarie, del distacco dalla realtà, infine, dei broker che vagano da un ufficio all’altro in un sentiero sempre più programmato di azioni e sono in grado, nella più completa apatia, di gettare sul lastrico centinaia di famiglie con una semplice telefonata. L’aspetto più interessante della vicenda, in conclusione, è l’accento attribuito da Voss, e dunque dallo stesso Bauder, alla responsabilità individuale nelle speculazioni affaristiche: “si fa un grande parlare”, dice a un certo punto il narratore-protagonista, “di banche e di finanziarie come se si trattasse di entità divine in grado di manipolare la vita di intere masse umane, laddove ci si dimentica che dietro le sigle bancarie si trovano esseri umani singoli, responsabili di decisioni personali che possono, con un sì o con un no, approvare un piano d’affari.” Come a dire che la speranza che le cose cambino esiste in maniera tangibile, perché è insita nella natura umana. Purtroppo, però, come ci avverte lo sconsolato finale, è la natura umana che ancora non riesce a cambiare.

Gianfrancesco Iacono per cinematografo.it