Melbourne

E’ tutto pronto, o quasi. Amir e Sara, giovane coppia, stanno per partire alla volta di Melbourne per continuare i loro studi. A poche ore dal volo, però, un tragico imprevisto li terrà imprigionati dentro quella casa. Che piano piano si svuota di mobili, parallelamente al continuo andirivieni di persone, tra traslocatori, vicini e parenti: restano solo Amir e Sara, il loro drammatico segreto e l’impossibilità di comprendere quale sia la cosa giusta da fare. Ammesso ne esista una… Il paragone con il cineasta iraniano più significativo dei nostri giorni, Asghar Farhadi, non è peregrino: l’esordiente Nima Javidi, classe 1980, sembra aver assorbito intimamente il cinema dell’affermato connazionale (Una separazione, Il passato) e la sua opera prima, Melbourne (presentato alla scorsa Settimana della Critica veneziana) richiama alla mente anche le cifre stilistiche ed emotive care a Roman Polanski: rinchiusi in un appartamento che, svuotandosi di cose, finirà per lasciarli sempre più soli con quel dramma inaspettato, i due protagonisti (Payman Maadi e Negar Javaherian) continuano a sognare un futuro altrove ma sono costretti a confrontarsi con un evento che, giocoforza, potrebbe costringerli a rimanere lì per sempre. Una metafora sull’immobilismo dell’Iran? Forse. Per farlo, Javidi sceglie le atmosfere di un thriller dell’anima, dove il tempo che scorre serve apparentemente a creare convinzioni che, solamente un attimo dopo, vengono stravolte dagli eventi. Fino all’acme di un finale tutt’altro che consolatorio. Glaciale.

Valerio Sammarco per cinematografo.it