Take Five

Gaetano, il ricettatore. Il nipote Ruocco, giovane pugile squalificato a vita. Sciomèn, gangster leggendario e depresso. Sasà, fotografo di matrimoni, ex rapinatore, reduce da un infarto. E Carmine, idraulico con il vizio del gioco (e relativi debiti), che un giorno si ritrova nel caveau di una banca per riparare una perdita. E si fa venire un’idea…
Due anni dopo il folgorante Là-bas – Educazione criminale (premiato a Venezia con il Leone del Futuro – Premio Opera Prima Luigi De Laurentiis), Guido Lombardi torna alla regia portando sullo schermo una commedia nera sviluppata partendo da un’idea nata insieme a Gaetano Di Vaio, poi interprete e produttore (con Figli del Bronx, insieme a Gianluca Curti di Minerva Pictures e Dario Formisano di Eskimo, più Rai Cinema): Take Five, titolo che rimanda al classico jazz del Dave Brubeck Quartet, per raccontare “la storia di cinque irregolari, tutti con un sogno in comune, quello di arricchirsi”, come dice lo stesso regista.
Che abbandona il registro del film precedente per mettersi addosso a cinque maschere, cinque differenti personalità partenopee: malavitosi che in un certo modo ricalcano esperienze realmente vissute (carcere compreso), e che contribuiscono in maniera decisiva a delineare la cifra stessa dell’opera. Il già citato Di Vaio, Salvatore Ruocco, Peppe Lanzetta, Salvatore Striano e Carmine Paternoster finiscono però per “nascondere” il film, che indubbiamente muove da premesse interessanti e non manca di ragionare su vari aspetti (dall’unione fittizia del gruppo, formatosi solo per soddisfare esigenze individuali, alle dinamiche che coinvolgono i vari gradi della camorra), ma che strada facendo incomincia a zoppicare perdendo ritmo e chiedendo troppo alla sospensione dell’incredulità. Viene meno il rigore di Là-bas e la fusione tra thriller, commedia e denuncia sociale (la figura del giovane garzone, costretto a farsi strumento delle logiche malavitose) lascia in sospeso l’intera operazione: che cos’è, alla fine, Take Five? Un coraggioso ma incompiuto tentativo di affrancare il cinema italiano dalle abituali logiche di consumo. Ma forse non basta.

Valerio Sammarco per cinematografo.it