The Florida Project

The Florida Project (alla Quinzaine) ci dice che Sean Baker ha un modo inquadrare il mondo tutto suo. Non apparentabile necessariamente con le nuove estetiche del realismo 2.0, caratterizzate dal movimento febbricitante di sempre più piccoli e maneggevoli dispositivi di ripresa.
Il suo sguardo sull’infanzia – un gruppo di bambini e le loro spensierate marachelle in un’estate trascorsa tra i motel colorati di Orlando, prima dell’immancabile risvolto drammatico – rivela una freschezza e un’originalità preziose.

Un andare dentro le cose che non rinuncia però a una visione d’insieme e più meditata sul microcosmo umano che ruota attorno a Disneyland (dal sottoproletariato “ospitato” nelle strutture alberghiere ai turisti di passaggio, dalla working class da terzo settore agli strampalati senza dimora), colto con osservazioni precise, puntellate da una costruzione della scena frontale e sorprendentemente geometrica.
Perfetta la direzione dei piccoli attori, anche se a tenere le fila è un disperante manager di motel interpretato da un ottimo Willem Dafoe.

Dopo Tangerine, una bella conferma per Sean Baker, che torna a mescolare documentarismo e finzione come metodo d’indagine dello spazio urbano e dell’odierno tessuto sociale americano. Un ritratto tenero e puntuale del nuovo sottoproletariato, appena camuffato sotto una fragile corazza pop.

Gianluca Arnone per cinematografo.it