Regalo a sorpresa

Piccola commedia che ambisce al comico puro, ma resta prigioniera dei cliché neo-italiani. Buona la prova di Gasparini e Ceccherini.

Premessa. La commedia italiana non se la passa benissimo. Sempre più contaminata da temi e modi espressivi della fiction televisiva, ormai da diversi anni è commedia dei “telefoni bianchi”. Spesso tacciata di tenersi costantemente lontana dal reale, essa nei fatti non solo rifiuta (legittimamente) la “via obbligata” della commedia sociale, ma nei confronti della realtà compie un’operazione ancor più radicale. Semplicemente non la contempla, vive in un mondo tutto autoreferenziale, come in una moltiplicazione infinita del modello “Tutti pazzi per amore”, anche e soprattutto sul piano audiovisivo, nelle scenografie a colori primari, in tutta una retorica ormai ben consolidata. Ma fin qui nulla di male. Il comico puro è nobile e anzi sarebbe il benvenuto, visto che in Italia non lo pratica quasi più nessuno in modo decoroso. Purtroppo invece pregi e difetti della tendenza “televisiva” si ritrovano perfettamente emulsionati anche in Regalo a sorpresa, film d’esordio di Fabrizio Casini che riserva il ruolo di protagonista al cinema, per la prima volta, a Paolo Gasparini. E che si affida alle spalle insospettabilmente mature di Massimo Ceccherini, spesso alle prese con piccole produzioni, ma uno dei pochi in Italia a portare aria fresca in rigidi schemi da sit-com. Scorretto, sbilenco, assai intelligente nei tempi comici: un cavallo matto che, in questa stagione complicata per la commedia italiana, non ha mai trovato un ambiente-cinema adeguato al suo estro.

Regalo a sorpresa ripropone un altro tòpos del neo-cinema italiano: il bamboccione, anzi il “pacchetto d’omo” come bene lo definisce l’amico Ceccherini, ben oltre la soglia dei 30 anni ma che ancora vive con la madre, non vuole responsabilità, e talvolta rasenta confini patologici (molto azzeccati) come nella bella sequenza in cui, in difficoltà di fronte agli approcci della fidanzata, il suo sguardo è rapito dalla tv sintonizzata su Don Camillo, e non resiste alla tentazione di rifugiarsi in bagno per ricordare al telefono con la madre quando anni prima lo vedevano insieme. Un filo di cattiveria in più, soprattutto grazie alle incursioni di Ceccherini, stavolta si respira, e Paolo Gasparini, timido, insicuro, quasi afono, convince abbastanza in un sapiente ruolo protagonista-ma-in-realtà-spalla, giocando di rimbalzo quando in coppia con Ceccherini, e tutto di balbettio quando da solo di fronte al mondo cattivo. Il problema, come sempre, è l’involucro, la struttura filmica, le nervature del racconto, i cliché di una retorica espressiva asfissiante. Oltre a frequenti tempi morti e a momenti comici che cadono nel vuoto, il film ha un esordio faticoso che si protrae per quasi tutta la prima metà, per poi rifugiarsi in un pur nobile spunto da “comico puro” (il modello è nientemeno che Le dodici sedie di Il’f e Petrov) alla ricerca di un anello prezioso dentro uova di cioccolata, filone che poteva essere sfruttato meglio e di più, magari puntando l’intero film su di esso. Così come il rispetto di regole scritte e non scritte emerge con forza nel pre-finale, in cui la “crisi a tre quarti” è rispettata nel suo obbligato rovescio sentimentale, talmente ricalcato da aprirsi e risolversi addirittura nella stessa scena (tutto sommato un piccolo pregio, visto che così facendo Casini ci risparmia la consueta “allungatura del brodo” per guadagnarsi l’ultimo quarto d’ora di film). Insomma, come spesso purtroppo accade, per la commedia ma non solo nel nostro paese, viene da dire “Coraggio, autori, coraggio”. Basta anche poco di più, almeno per iniziare.

MASSIMILIANO SCHIAVONI