Sguardi sonori

22/02/12 - Hugo Cabret: la scoperta del cinema di George Méliès nei magici suoni che il canadese Howard Shore compone per Martin Scorsese.

Sguardi sonori – Viaggio tra le sette note composte per la settima arte – a cura di Emanuele Rauco

sguardi-sonori-interno.jpgScoprire il cinema quando ancora era muto, quando i suoni e i colori erano nella mente dello spettatore e non negli effetti speciali. Ma c’era qualcosa che ha da sempre fatto parte del cinema, la musica: da questo dato partono Martin Scorsese, regista, e Howard Shore, compositore, per realizzare la colonna sonora di Hugo Cabret, il nuovo film del regista italo-americano in cui si racconta la meraviglia del cinema di George Méliès attraverso la musica. Shore, compositore di varia e notevole esperienza, che con questo film ha incassato la sua quarta nomination all’Oscar – vincendone 3 -, ha preso le atmosfere magiche e sognanti che l’hanno reso celebre col Signore degli anelli adattandole a una magia delicata, più fiaba e meno fantasy, che però si sposa per toni, arrangiamenti, e scelte strumentali alla Parigi degli anni ’20 che accoglie il film e la meraviglia delle fantasmagorie dei primi anni del cinema.

Aperto da The Thief, che sugli elaborati titoli di testa presenta Hugo, Méliès e il capostazione con tocco malizioso e delicato, lo score brilla di atmosfere allo stesso tempo giocose, gioiose eppure piene di mistero come ogni percorso di formazione che si rispetti: l’orchestrazione ricca di Shore spesso si apre alla fisarmonica tipicamente parigina (The Chase), a partiture ora ironiche (The Station Inspector) ora malinconiche (Hugo’s Father) raggiungendo il cuore (immagine chiave del film) nel sogno pianistico di The Movies, nella fiaba pura di Papa Georges Made Movies e nella calcolata esplosione di The Magician. Un’avventura in cui la vera, straordinaria invenzione di Hugo è la (ri)scoperta del mondo fatato della pellicola, delle immagini che scorrono e creano stupore solo per il fatto di esserci: e Shore sa rendere quello stupore con l’innato senso del magnifico nella sua musica e con una vena emotiva – e quindi narrativa – che sarebbe stata bene in un classico film di Méliès.