Sguardi sonori

23/12/09 - Steven Soderbergh, regista altalenante, più spesso deludente, ha una passione per il cinema...

Sguardi sonori – The Informant
Lo spiazzante suono di un’altra età

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg23/12/09 – Steven Soderbergh, regista altalenante, più spesso deludente, ha una passione per il cinema indipendente degli anni ’60 e ’70 che lo porta spesso a ricostruirne atmosfera, spirito, toni. Tra le capacità maggiori di Soderbergh come regista c’è appunto quella di scegliere musiche e commenti sonori capaci di rendersi da soli testimoni dell’epoca raccontata. Così nel suo ultimo film, “The Informant”, il regista americano ha deciso di affrontare le pieghe del capitalismo anni ’70-’80 facendosi aiutare da un compositore talentuoso come il veterano Marvin Hamlisch. Uno che ha collezionato nove nomination agli Oscar, tre vittorie (tutte nello stesso anno, per “Come Eravamo”– score e canzone – e per “La Stangata”) e altri premi vari. Nel film, che racconta la stralunata storia di un funzionario statale coinvolto in macchinazioni, truffe e intrighi spionistici, Hamilsch decide così di affidarsi a una partitura che rispolvera la musica lounge e easy listening a cavallo tra i ’60 e ’70, reinterpretata però con una vena mano a mano più tesa e con fili d’ironia per occhieggiare alla carriera dello stesso Hamlisch.

Già i titoli di testa e tema principale della colonna sonora danno l’idea di questo doppio fondo espressivo, visto che “The informant” parte con toni cupi, quasi tetri, e si apre con un pianoforte toccante e delicato, che poi fa spazio a brani freschi, dinamici, comici a tratti nell’uso di strumenti e arrangiamenti d’antan (il moog di Meet Mark, il kazoo di The Raid). Hamlisch recupera le atmosfere di molta cultura musicale popolare dell’America, arrivando persino al bluegrass di Polygraph o all’auto-citazione bondiana (Hamlisch compose la colonna sonora di “La spia che mi amava”) di Car Meeting, ma sa aprirsi all’allucinata psiche di un personaggio che sorprendentemente si svela mano a mano, come il confidenziale pianoforte di Trust Me, per diventare puro show hollywoodiano, come chiaro nella ripresa in chiave swing di Trust Me o della title-track.

Uno straordinario collage di sentimenti, impressioni, recuperi, che magari non inventa nulla né incide cuore o orecchie dell’ascoltatore, ma che accompagna in maniera briosa e inventiva un film composito, uno dei migliori di Soderbergh, che prova a giocare e divertire in egual misura lo spettatore. E che grazie a Hamlisch (candidato al Golden Globe) può riuscirci.