Sguardi sonori

27/01/10 - C’è chi ha gridato alla lesa maestà, chi si è semplicemente limitato a storcere il naso...

Sguardi sonori – Nine
L’Italia che non c’è(ra)

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg27/01/10 – C’è chi ha gridato alla lesa maestà, chi si è semplicemente limitato a storcere il naso rispetto a una visione dell’Italia legata a vecchi stereotipi, fatto sta che Rob Marshall, nel prelevare un musical di successo di Kopit & Fratti e Yeston, ha avuto senza dubbio un bel coraggio; coraggio non del tutto ripagato cinematograficamente ma più interessante dal punto di vista squisitamente musicale. Il compito di riprendere le musiche di Yeston, adattarle al film e comporre tre canzoni originali è spettato ad Andrea Guerra, compositore di fiducia di Ozpetek, tra gli altri: scelta interessante, soprattutto visto il rapporto del tutto immaginario e fantasioso del film e dello spettacolo teatrale con la cultura e l’immaginario italiani, del tutto rivisti o travisati a seconda dei topoi creati dallo stesso cinema di Fellini e dalle musiche di Rota. E da qui Maury Yeston è partito per adattare le marcette e le sonorità immaginifiche del regista riminese a un mondo del tutto altro come quello della società dello spettacolo a stelle e strisce.

Il risultato, discutibile, ma curioso e a tratti efficace, è quello di una partitura ricchissima, divisa tra melodie ampie e recitativi lunghi, tra momenti emotivi e altri dissonanti, che solo a tratti si avvalgono – strumentalmente, s’intende – di caratteristiche italiane (come nei tamburelli dell’ottima Be Italian), ma più spesso cedono il passo alle sonorità ricche di pathos della tradizione di Broadway, come nell’Ouverture delle donne, o nei bellissimi brani cantati da Marion Cotillard, My Husband Making Movies e Take it All. Quest’ultimo è uno dei tre brani originali scritti da Guerra con le parole di Yeston, ed è anche l’unico all’altezza, visto che Cinema Italiano (pop-lounge da spot o da sfilata, portabandiera del film e candidato ai Golden Globes) e la tremenda Guarda la luna (pateticamente cantata da una Sofia Loren che sembra uscita dal peggior Benigni) sembrano più obblighi che ispirazioni.

Guerra non ha molto spazio di manovra, e quello che ha non lo sfrutta al massimo, ma l’adattamento ai ritmi e alle esigenze del montaggio cinematografico della partitura originale è più che discreto e gli aprirà di sicuro la strada per ulteriori progetti hollywoodiani; che si spera sappia capitalizzare meglio.