Storia d’inverno

L'esordio alla regia dell'acclamato sceneggiatore Akiva Goldsman ha il merito di costruire una favola per adulti, riuscendo a miscelare la ricostruzione storica di una doppia New York in cui la città industrializzata dei ponti di inizio novecento fa da controcanto a quella moderna e tecnologica dei grattacieli.

Ogni essere umano racchiude dentro di se un miracolo, una sorta di destino celato quanto inevitabile il cui scopo ultimo è quello di essere realizzato a puro beneficio di un’altra persona. Ma nessuno è in grado di comprendere con anticipo qual è la propria funzione nel mondo e a chi farne dono. La scoperta si palesa nel momento esatto in cui due vite predestinate s’incrociano, traendo finalmente beneficio dai misteriosi movimenti che l’universo ha progettato per condurli l’uno verso l’altro. Perché tutti siamo collegati in una visione del mondo tanto ampia da andare oltre le delimitazioni del tempo e dello spazio, ma dobbiamo fare comunque attenzione. Oltre i segni premonitori e gli spiriti guida esiste una parte oscura che progetta e agisce per mettere in ombra la luce del destino.
Questi concetti filosofici sono evidentemente estranei a Peter Lake, ladruncolo con un particolare talento per le cose meccaniche che, nella New York di inizio novecento, sembra essere concentrato solo sulla sopravvivenza personale. Ma, come spesso accade, tutto succede quando meno ce lo aspettiamo. Così, in fuga dal “demoniaco” gangster Pearly Soames, Peter incontra sulla sua strada un cavallo bianco dalle “virtù” eccezionali, il cui scopo è quello di condurlo verso la realizzazione del suo destino. Così, dopo una notte di furti e scorribande, cavaliere e cavallo si fermano di fronte alla casa dell’editore del Sun per portare a termine l’ultima prodezza prima di sparire per un po’ da New York. Entrando nell’abitazione che crede deserta, il ragazzo s’imbatte in una giovane misteriosa dai lunghi capelli rossi e divorata dalla febbre della tubercolosi. Stranamente non sembra aver timore di lui e altrettanto misteriosamente Peter se ne innamora senza possibilità di fuga. Da quel momento un quesito lo tormenterà; è possibile per un ladro abile come lui riuscire a rubare del tempo alla morte con la sola forza dei sentimenti? Perché questo accada ci vuole un amore indiscusso e molto tempo a disposizione. Sicuramente più di quanto viene normalmente concesso a qualsiasi essere umano. Ma Peter Lake non è certo un uomo come gli altri e il suo destino è quello di superare le barriere del tempo dimostrando che ogni cosa è possibile se siamo disposti a crederci.

Il romanzo d’inverno che ha conquistato l’America
Si diventa uno scrittore per molti e diversi motivi. Alcuni sentono la necessità di dare voce alle proprie inquietudini mentre altri reinventano la propria vita dando spazio alla più fervente fantasia. Mark Helprin, invece, è diventato uno dei narratori più amati dai critici americani per il suo desiderio di rivitalizzare colori e atmosfere. Perché qualunque artista creda di essere anche un creatore assoluto inventando un nuovo mondo non ha fatto altro che dare voce a quello già esistente. Da questo atteggiamento e da fonti d’ispirazione di un certo calibro come Dante, Mark Twain e Scott Fitzgerald è nato il caso letterario di Winter’s Tale. Pubblicato nel 1983, il romanzo attrae immediatamente l’attenzione del New York Times che regala ad autore e opera una recensione a cinque stelle. Ma cosa ha reso questo romanzo così indimenticabile tanto da farlo rientrare di diritto tra i migliori pubblicati negli ultimi venticinque anni? Senza dubbio Storia d’inverno ha il merito di costruire una favola per adulti, riuscendo a miscelare la ricostruzione storica di una doppia New York in cui la città industrializzata dei ponti di inizio novecento fa da controcanto a quella moderna e tecnologica dei grattacieli. Nel mezzo Helprin mette in scena scontri pre urbani ammirati in Gangs of New York e il sogno rappacificante di un amore predestinato capace di varcare qualsiasi logica umana e universale. Perchè alla fine di tutto, quello che l’uomo chiede alla letteratura come al cinema è un sogno ad occhi aperti.

Dalle pagine al grande schermo il passo è breve… o forse no
Trasformare una storia di quasi ottocento pagine in una sceneggiatura da realizzare per il grande schermo in cento minuti, più o meno, non è certo un avventura semplice da affrontare. Il rischio di fallire e di semplificare troppo cercando di raggiungere il cuore della vicenda è molto alto, soprattutto quando la storia in questione sembra parlare allo sceneggiatore in modo diretto. Ma se c’è qualcuno che non ha paura delle sfide è Akiva Goldsman, meglio conosciuto per aver dato alla luce gli script di Cinderella Man – Una ragione per lottare e A Beautiful Mind. Il confronto, però, non lo vede uscire vittorioso, almeno in questo caso. Storia d’inverno rappresenta anche il suo esordio alla regia ma ciò che lo identifica come un prodotto fin troppo scontato e prevedibile è proprio una trasposizione cinematografica che sacrifica troppe sfumature ambientali e caratteriali per dare spazio ad un intreccio amoroso ad alto tasso di zuccheri. In questo modo, nonostante Goldsman ci abbia abituati a delle narrazioni certo emotive ma anche ben contestualizzate, il film consegna personaggi stereotipati, fondamentalmente immobili e rigidi nella rappresentazione dei propri ruoli. In questo modo Colin Farrell veste diligentemente le vesti della canaglia romantica redento dall’amore, mentre Russell Crowe si lancia nella messa in scena del male soprannaturale, offrendo uno dei pochi lampi di genialità in coppia con il luciferino Will Smith. Ma ciò che veramente manca è la presenza di uno “spirito guida”, nonostante il candido cavallo alato, il cui compito è quello di afferrare lo spettatore e condurlo all’interno della vicenda e nei destini dei suoi protagonisti. Un compito che lo scrittore affida nelle sue pagine proprio a questo animale fatto di luce e misteriosamente attratto dall’isola di Manhattan, mentre il regista/sceneggiatore omette l’escamotage come qualsiasi background dei suoi personaggi. Così, ponendo sullo sfondo una New York quasi impercettibilmente ed evanescente, Goldsman chiede allo spettatore di avere fede nel potere eccezionale dell’amore e, ancora di più, in uno stile narrativo fin troppo riassuntivo.

Tiziana Morganti per Movieplayer.it Leggi