The Artist

16/05/11 - Dopo Cannes dove ha vinto il premio per il Miglior attore (Dujardin), il film muto arriva in sala. A raccontarcene la genesi il regista, Michel Hazanavicius.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

Ascolta la conferenza stampa al Festival di Cannes del film:

  • The Artist
  • Ascolta l’intervista a cura di Silvio Grasselli al regista:

  • Michel Haznavicious
  • Uno speciale viaggio nel tempo. Un ritorno all’epoca che rivoluzionò il cinematografo: l’avvento del sonoro. La fine degli anni del cinema muto delle origini è stata vissuta in maniera traumatica da autori che fecero in quei primi anni del secolo un’essenziale lavoro sul linguaggio. Il nome più autorevole è quello di Charlie Chaplin che si oppose fortemente a questa novità che toglieva il carattere dell’universalità alla settima arte. Ancora nel 1931 si battè per girare senza sonoro Luci della ribalta e poi dovette adeguarsi, regalandoci dei dialoghi – basti pensare al discorso finale all’umanità presente ne Il grande dittatore o a tutte le musiche che compose personalmente per tutti i suoi film – di straordinario valore morale e artistico. Così le pellicole non sarebbero più state comprese immediatamente da tutti, non avrebbero avuto un impatto immediato sulle popolazioni con culture, tradizioni e alfabeti diversi. Era questa la paura, in parte vera e giustificata. Anche il biopic Chaplin di Richard Attenborough rimarcò come quegli anni fossero stati tra i più traumatici del periodo americano dell’autore inglese. Intorno a quegli anni difficili per alcuni – Chaplin ma così Buster Keaton e attori come Rodolfo Valentino che misero fine alla loro carriera – altri sperimentarono e trovarono il modo per adeguare la loro arte ai tempi.

    Con il suo The Artist, Michel Hazanavicius ha quindi creato un personaggio ispirato a tanti dell’epoca: George Valentin e il suo simpatico cane sono le star di punta di film muti di un successo tale da riempire le sale. File di donne ammiranti, e spesso innamorate dell’attore di grido, lo aspettano fuori dalle sale. Una di loro, per raccogliere la borsetta lo scontra e i fotografi immortalano la scena regalando una visibilità insperata all’aspirante attrice. I casi della vita – come mostra in maniera didascalica il regista con un’inquadratura in campo medio – sono tali che nel 1929 con l’avvento del sonoro, George percorrerà le scale in discesa verso il dimenticatoio e Peppy Miller quelle della notorietà e della ricchezza (proprio tra le file di quella Kinograph Producion che George rese milionaria). Filologicamente impeccabile The Artist offre geniali passaggi che giocano con sonoro e non sonoro: come la sorpresa di George quando sente il suo cane abbaiare o un bicchiere tintinnare dalla pellicola (scena che ha scatenato un primo fragoroso applauso durante le proiezione) Metaforicamente invece è l’uomo che – in una scena tragi-comica – non riesce a emettere alcun suono quando prova a parlare. Ottima la creazione delle ambientazioni e la ricerca della riproduzione perfetta dell’humus che si viveva in quel periodo dove le proiezioni erano fonte di vera e propria affascinazione. Il passaggio meno riuscito, perché poco curato, è la ricostruzione della crisi economica del 1929 che sembra non avere sugli Stati Uniti l’effetto devastante che invece conosciamo. Il regista preferisce saltare frettolosamente al 1931 facendo perdere al film la possibilità di essere anche un ritratto credibile del tessuto sociale del periodo.

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