The Eagle

06/07/11 - MacDonald rilegge “da lontano” la storia del suo Paese, con un peplum didascalico ma non privo di spunti interessanti. In anteprima alle Giornate.

Dalla nostra inviata Caterina Gangemi

Tratto dal romanzo L’Aquila della IX Legione di Rosemary Sutcliff per la regia dello scozzese Kevin Macdonald, The Eagle , proiettato in anteprima alle Giornate, racconta la leggendaria impresa del giovane centurione Marco Flavio Aquila che, nel 140 d.C. con la guida dello schiavo Esca, valicò il temuto confine del Vallo di Adriano per indagare sulla misteriosa scomparsa della Nona Legione dell’esercito (guidata da suo padre) e tentare di riportare a Roma la preziosa aquila, emblema dell’esercito. Dopo l’acclamato L’ultimo Re di Scozia, Macdonald riparte “da lontano” per raccontare un altro controverso capitolo della storia del suo Paese, attraverso i canoni di un peplum tanto avvincente nel restituire l’epos della missione, quanto discontinuo e scontato sul piano stilistico e narrativo. Se l’avvio, infatti, non lascia presagire nulla di buono, con una messinscena posticcia e patinata che richiama alla mente le ricostruzioni dei programmi televisivi di divulgazione, è solo attraverso il viaggio compiuto dai due protagonisti lungo la loro impresa, che le potenzialità della pellicola riescono ad affiorare qua e là.

Così, è proprio durante l’ascesa verso in nord della Britannia che il carattere dei personaggi si delinea in modo più compiuto, attraverso l’ambiguità di un rapporto improntato al sospetto e alla diffidenza reciproca, mentre la narrazione si concede un’inaspettata svolta di ispirazione western, costellando il tragitto di insidie, pericoli e tranelli al fine di assicurare la necessaria tensione drammatica, da un lato, e dall’altro fornire il pretesto dar voce – con tutti gli evidenti richiami alla realtà contemporanea – all’orgoglio delle popolazioni indigene minacciate e assediate dall’imperialismo romano. Ed è proprio qui che la regia di Macdonald ritrova i suoi momenti più felici, restituendo con agilità la brutalità ferina delle battaglie con una potenza espressiva dai tratti quasi visionari, e stemperandola nel lirismo di suggestivi campi lunghi dei maestosi e sconfinati paesaggi delle Highlands. Peccato che ad inficiare il tutto ci si mettano tanto la blanda prova di un cast fuori parte (fin troppo ottuso e muscolare lo statunitense Channing Tatum, ancora acerbo l’ex Billy Elliott Jamie Bell) quanto la melassa di un retroterra retorico, consacrato ai valori di lealtà, coraggio e onore, che convoglia l’azione in una “telefonatissima” prevedibilità, annientando ogni coinvolgimento e riconducendo il film a un’onestà evocativa priva di impatto.

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