The golden temple

Desolazione della merce e di non-luoghi dorati nel film di Enrico Masi, passato prima alle Giornate degli autori e ora al Salina Doc, che mostra il vero "tempio" delle Olimpiadi di Londra: un gigantesco centro commerciale.

Una bici in primo piano e un enorme scheletro in cemento armato sullo sfondo sono i due elementi simbolo dai quali vogliamo partire per raccontare The Golden Temple del 29enne ricercatore universitario bolognese Enrico Masi, presentato all’interno delle Giornate degli autori alla Mostra internazionale del cinema di Venezia e oggi in concorso al Salina doc fest diretto da Giovanna Taviani. Le Olimpiadi di Londra 2012 dovevano essere, almeno sulla carta, le più ecosostenibili, le più “green” e a misura d’uomo della storia (tornavano per la terza volte nella capitale del Regno Unito). Invece hanno visto la costruzione di enormi templi commerciali e sportivi su siti radioattivi non bonificati, la partecipazione al progetto di sponsor come la Union Carbide (responsabile del disastro di Bhopal in India del 1984) e quella che era stata annunciata come la riqualificazione di tutta l’area a Est di Londra si è trasformata in un enorme affare commerciale per permettere alla classe media di entrare in possesso di un nuovo quartiere dove insediarsi.

Il documentario è la storia delle persone che le Olimpiadi le hanno subite perché sfrattate dalle loro case come Mike che viveva in una casa cooperativa all’interno di quello che oggi è il villaggio olimpico e che è stato costretto ad andar via e ora vive su un barcone in uno dei canali di Londra. E poi c’è Osita che resiste e vive nel palazzo affittato dalla BBC in esclusiva per i collegamenti proprio davanti allo stadio, Dean che si è visto triplicato l’affitto del suo chiosco e quindi dovrà chiudere perché nel quartiere non rimanga più nulla che non sia appannaggio dei grandi colossi commerciali. Rosie invece, che ha un ristorante a gestione familiare e a causa del cantiere ha visto chiudere tutte le vie d’accesso alla sua attività – sempre perché troppo poco alla moda – durante il periodo delle Olimpiadi ha dovuto chiudere l’attività. E poi i tanti cittadini che denunciano come sia stata distrutta un’intera comunità che aveva relazioni sociali forti e che poteva ancora vivere immersa nel verde che regalava la zona. Inoltre grazie all’ottimo lavoro di montaggio tra le dichiarazioni di questi straordinari testimoni-vittime – che arrivano agli spettatori come un flusso di emozioni e di considerazioni – a quelle di tutti i vecchi e nuovi abitanti e le immagini girate intorno al complesso, Masi compie un’operazione di riflessione sul fenomeno più complesso della commercializzazione permanente di tutto, vero cuore del film. Raccoglie inoltre l’ironica dichiarazione di un signore che trova alquanto strano che all’interno del villaggio olimpico sia stato costruito un enorme McDonald, come quella di un turista che ricorda di essere atterrato dall’aereo ed essere giunto allo stadio passando attraverso il centro commerciale più grande d’Europa, con i più grandi brand mondiali pronti a vendere la loro merce. Questo tempio della merce, “Golden Temple” per l’appunto, è stato il passaggio obbligato per accedere al villaggio olimpico per 7 persone su 10. (Un altro signore ironizza sottolineando che se i templi inglesi dovessero essere giudicati in base alla loro grandezza, il “Golden Temple” sarebbe il più importante del Paese, essendo più grande di qualsiasi altra costruzione). Non mancano poi i sostenitori di tutta l’operazione, coloro che credono nei benefici portati dalle Olimpadi nel quartiere, come la guida turistica Sue o come una ragazzina che finalmente vede nella bellezza portata dal centro commerciale un passatempo più divertente in un posto dove per lei non c’era nulla. Peccato che, come sottolinea un altro intervistato, nessuno dei vecchi abitanti del quartiere potrà mai permettersi nessuno degli oggetti in vendita e così il centro commerciale, il non-luogo per antonomasia diventa luogo di perfetta alienazione. L’altra medaglia di un grande evento trasformato – come dichiarato da Masi e come afferma con coerenza anche tramite il suo documentario – “in un’enorme interruzione pubblicitaria”.

Prossimi appuntamenti dove poter vedere il documentario: il festival di Reykjavik, il 9 ottobre a Bologna all’interno del progetto Saladoc e poi a novembre al Festival dei Popoli di Firenze. Per Roma è prevista una proiezione al Teatro Valle. Tenete d’occhio le date sul www.caucaso.info, sito della casa indipendente Caucaso del regista che con Aplysia, piattaforma di crowdfunding Produzioni dal Basso ha prodotto il documentario.