Ultimo sguardo su Alice

26/10/09 - Prosegue il nostro viaggio all’interno di Alice nella città, la sezione in concorso del Festival...

26/10/09 – Ultimo viaggio all’interno di Alice nella città, la sezione in concorso del Festival Internazionale del Film di Roma, dedicata ai più giovani. Per concludere il nostro percorso, stavolta abbiamo scelto altri quattro titoli di cui vale assolutamente la pena parlare, due dei quali sono proprio i vincitori di questa sezione.

MARPICCOLO“Marpiccolo” di Alessandro di Robilant, pur con molti problemi di forma narrativa, di estetica filmica e di qualche scivolata nella retorica, ha il coraggio di raccontare Taranto (il suo inquinamento e “l’immobilismo” e la mancanza di scelte di quella gioventù vittima del luogo in cui è nata) in maniera onesta e sincera. Lo fa attraverso la rabbia di Tiziano, della sua famiglia, della sua ragazza e del suo mondo e soprattutto con una buona recitazione – che ci permette una volta tanto di vedere un film pugliese in cui si parla con l’accento giusto e non in siciliano o in napoletano solo perché chi produce film crede che al di sotto di Roma tutti abbiano o un accento o l’altro e non esistano altri luoghi per raccontare le realtà del Mezzogiorno. Tanto di cappello a di Robilant per averci perlomeno provato.

1981_def“1981” di Ricardo Trogi racconta il periodo in cui il regista, figlio di un immigrato italiano in Canada, aveva undici anni e nel quale la sua famiglia si era appena trasferita in un quartiere migliore, costringendolo ad affrontare contemporaneamente sia il cambiamento e l’interazione con ragazzi più benestanti, sia il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Con ritmo serrato e autoironia il film di Trogi, già apprezzato per “Québec-Montréal”, omaggia con trovate divertenti e nonsense garbato la famiglia media di inizio anni Ottanta.

Last-Ride“Last Ride” di Glendyn Ivin ha vinto il “Marc’Aurelio d’Argento Alice nella città sotto i dodici anni” ed è stato scelto da una giuria di ventinove bambini fra gli otto e i tredici anni. Da un romanzo di Denise Young, è la storia di un padre, criminale recidivo, che dopo aver commesso un delitto fugge con il figlio nel desolato deserto australiano finché il bambino non si allontanerà da lui per poter avere una vita migliore. Un’opera fatta di movimenti, suoni, spazi, emozioni, silenzi, che vanta un’attenzione formale ed estetica capce di sciogliere il cuore dei cultori del cinema. La delicatezza con la quale il regista mostra le vite di un uomo, distrutto da se stesso e incapace di controllare i suoi eccessi, e del suo bambino, riflessivo e maturo, permea la struttura narrativa di chiaroscuri molto efficaci, che si stagliano intensamente nell’intimità di vicende reali. La perdita dell’innocenza durante il corso dell’infanzia e le sue drammatiche conseguenze sono temi tutt’altro che facili da portare con originalità sullo schermo, ma tra campi lunghissimi (tipici del cinema australiano) e primi piani minimalisti, il lirismo poetico con il quale Ivin racconta la sua storia è sincero, e le performance di Hugo Weaving, il padre, e dell’esordiente Tom Russell, il figlio, sono di rara efficacia.

winter in wartime

“Oorlogswinter – Winter in Wartime” di Martin Koolhoven, scelto dall’Olanda per concorrere agli Oscar come miglior film straniero, è il “Marc’Aurelio d’Argento Alice nella città sopra i dodici anni”, scelto da una giuria di trentacinque ragazzi compresi fra i quattordici e i diciotto anni, sedotta sicuramente dall’argomento “impegnato” della seconda guerra mondiale. Nel gennaio 1945, in un villaggio vicino Zwolle il tredicenne Michiel, figlio del sindaco locale, vorrebbe far parte della resistenza e scacciare i nazisti. Recandosi in bici nel vicino bosco scopre un pilota inglese ferito di nome Jack (Jamie Campbell Bower, osannato “volturo” di “New Moon”), che ha appena causato la morte di un soldato tedesco di cui i nazisti chiedono vendetta. Cosa farà Michiel quando con le sue informazioni potrebbe salvare la vita di suo padre? E quando scoprirà un terribile segreto legato allo zio Ben che lui adora? L’ennesima storia di un ragazzino costretto a crescere e diventare adulto improvvisamente a causa delle sofferenze imposte dalla guerra. Lo stile è quello della cinematografia più classica, fatta di un formalismo dettagliato e cupo, con alla base una derivazione letteraria (in questo caso un racconto di Jan Terlow), la cui sceneggiatura affronta i temi tipici della perdita dell’innocenza e il passaggio dall’età dell’infanzia a quella adulta, generalmente sancito da un evento clou, che porterà il protagonista a compiere una scelta fondamentale. Lavoro classico, tipici elementi narrativi del caso, meravigliosa fotografia che ricorda lo stile fiammingo, colonna sonora avvincente del nostro Pino Donaggio, colpo di scena finale che lo allontana dalla suo essere “non necessario” e la neve immacolata fa la sua parte. Un film come “Dear Lemon Lima”, di cui vi abbiamo parlato la volta scorsa, sarebbe stato però sintomo di una scelta più coraggiosa da parte della giuria. Il norvegese “Vegas” di Gunnar Viken, già oggetto delle nostre analisi, ha ricevuto una menzione speciale.

(ERMINIO FISCHETTI)