Cars 2

20/6/11 - La Pixar torna con il seguito delle avventure di Saetta: più azione, spettacolo e divertimento per un giocattolo che non usa il 3D solo come slogan.

Il primo Cars è stato uno dei progetti meno riusciti in assoluto della produzione Pixar. Tra i problemi principali la scelta della storia e la scrittura delle azioni: far interpretare a una pur amena collezione di autoveicoli la più classica delle commedie sul riscatto “umano” del cittadino viziato prodotto dalla metropoli grazie alla vita verace della provincia campagnola – con tanto di obbligato condimento rosa – era fin dal principio un progetto folle perché una scena romantica agita esclusivamente da automobili – tutto sommato realistiche – nonostante cofani parlanti e fari piangenti, è troppo per qualsiasi pubblico. La saga dei Transformers ce lo ha insegnato bene: qualunque apparecchio elettromeccanico può appassionare le platee, basta che abbia braccia, gambe e una qualsiasi sorta di volto. Ma ancora più importante è che questi burattini metallici non si lascino a combattere con troppe ingombranti psicologie e li si lanci invece in azioni sfrenate.

E arriviamo così a Cars 2 che certamente ha recepito questa lezione e che, cambiato completamente registro e ambientazione, punta tutto su ritmi accelerati e acrobazie spettacolari. Per prima cosa niente più provincia: dall’inizio alla fine del film si cambia continuamente il teatro dell’azione, dall’oceano aperto al Giappone, dall’Italia a Parigi e Londra. All’amore si sostituisce poi l’amicizia tra il protagonista Saetta McQueen e il goffo Cricchetto, permettendo così una migliore alternanza di toni e situazioni. Quel che più conta è appunto il montaggio e l’assortimento della storia. L’ottimo incipit mescola spionaggio e azione, poi si passa in breve alle funamboliche corse in pista (altro errore corretto: se non sei Cronenberg o Tati, devi saperti accontentare di usare un’auto da corsa per farla correre) e infine le due cose sono mescolate fino al finale letteralmente pirotecnico. Meno ingenuo, più cinematograficamente maturo e più ludico del precedente questo seguito, come ormai molti altri nel sempre più vasto panorama del bricolage industriale a stelle e strisce, è senza dubbio migliore del primo. Non solo perché banalmente più divertente, ma anzi proprio per i consistenti e precisi miglioramenti apportati al progetto originale. Lasseter e compagnia cavalcano l’onda della moda – la nuova giovinezza dello spy-action – sfruttando da una parte le quasi illimitate risorse dell’animazione digitale e dall’altra ripensando daccapo il ruolo del comprimario Cricchetto per aggiungere la canonica dose di farsa alla formula vincente. Ciliegina sulla torta: per una volta il 3D non è solo uno slogan.

SILVIO GRASSELLI

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