La nostra realtà

26/05/10 - “La maggior parte del cinema italiano è un cinema di morti, è “realistico” nel senso...

“La nostra vita”: una riflessione sul film celebrato a Cannes per il suo protagonista maschile Elio Germano

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26/05/10 – “La maggior parte del cinema italiano è un cinema di morti, è “realistico” nel senso che ci mostra come siamo, ci mette in pace con noi stessi, ci concilia, non ci mostra come non siamo e come potremmo essere. È un cinema di pace, di pacificazione[…].” Un cinema che non ammette rivoluzioni o cambiamenti. Così Adriano Aprà il 24 maggio del 1969. Sono passati più di quarant’anni eppure queste parole sembrano ancora cogliere precisamente in che modo la maggior parte del cinema prodotto in questo paese, quello che esce in sala e di cui scrivono giornali e giornalisti, scelga di sguazzare nello status quo, celando dietro proclami e dichiarazioni agguerrite, un sostanziale e spesso disinteresse per il duro e cruento scontro con la realtà “extracinematografica”.

La nostra vita, nuovo film di Daniele Luchetti, appena uscito da Cannes con una medaglia sul petto (il premio a Elio Germano come miglior protagonista maschile, diviso con Javier Bardem), rappresenta un paradigma di questo genere di cinema, non solo perché riunisce alcuni nomi (Stefano Rulli e Sandro Petraglia per tutti) di quella sinistra pantofolaia e miccombrosa che nel tiepido brodo della prima repubblica ha costruito la sua solida egemonia culturale, ma soprattutto perché dimostra chiaramente l’ennesimo tentativo di voler dire qualcosa sul presente di questo Paese attraverso il modo del “ritratto realistico”. Come se davvero dalla semplice messa in scena di un variopinto frullato d’elementi (es)tratti dalla “realtà”, dalla loro messa in discorso attraverso una narrazione tanto schematica quanto retorica (il fatto che non si tratti della retorica più vieta, o di una retorica meno volgare di quella delle produzioni di più basso profilo non significa che non si tratti comunque di retorica) ci si potesse aspettare la genesi d’un movimento, la produzione d’un’irrequietezza se non d’un’inquietudine. Come se in tutto questo non ci fosse altro, ancora e sempre, che una paternalistica carezza sulla testa dello spettatore, identica a quella della mano di chi, a parole ,si vorrebbe contrastare.

La nostra vita è certamente un film superiore alla media del main stream nazionale. Eppure è perfettamente identico ai molti, troppi film che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, ugualmente pronto a collezionare “situazioni” che non spaventino, che non turbino, che non sconvolgano o stupiscano e fiero di lasciare all’ultima superficie verbale la didascalia di qualche dissenso, il luogo del simulacro d’ogni crisi. Identico nel modo in cui sceglie di rappresentare il mondo, di pensarlo ottuso e stanco, nel suo invito nemmeno nascosto a ritirarsi nella propria camera da letto e concentrarsi sulla salvezza dei propri affetti.

(SILVIO GRASSELLI)

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