L’arte di vincere

25/01/12 - In sala, dopo aver aperto il Festival di Torino, il film - prodotto e interpretato da Brad Pitt - affronta un classico tema americano: il baseball.

Dalla nostra inviata LIA COLUCCI

Alla metafora del baseball molti scrittori si sono ispirati per raccontare e descrivere l’America, non ultimo Don De Lillo con il suo avvincente Underworld. Questa volta il libro da cui discende il film è Moneyball – The Art of Winning and Unfair Game dello scrittore Michael Lewis, tradotto in italiano L’arte di vincere. Si tratta della storia del manager della squadra di baseball degli Oakland Athletics, Billy Beane (Brad Pitt, qui anche produttore) che deve far fronte alla situazione critica della squadra in cui i giocatori migliori se ne sono andati. Fortuitamente incontra un neolaureato in Economia di Yale, che imposta un piano basato sulle statistiche e sui numeri piuttosto che sugli uomini. La strategia dà risultati insperati, anche se alla fine si rivela avere il fiato corto. E il baseball rimane sempre quel gioco fatto di talento, sudore, fatica dove ogni bluff tecnologico finisce per non averla vinta. Ma L’arte di vincere, diretto da Bennett Miller e già presentato in Italia a Torino 29 come film di apertura, rivela un’altra ipocrisia americana, quando al povero Billy vengono offerti una vera e propria barca di soldi per diventare manager di un’altra squadra: lui il prode che voleva vincere rinuncia, per rimanere vicino alla sua Oakland. Niente di più antiamericano e niente di meno vincente. Ma d’altra parte sembra che la filosofia del manager sia assolutamente antitrionfalistica: preferisce i successi tranquilli ai tifosi festanti e ai successi che durano una vampata. In realtà tutta la filosofia americana si basa su un principio effimero e pirotecnico.

A sorreggere il soggetto di Stan Chervin si accompagna una regia piuttosto piatta di Bennett Miller (The Cruise, Capote) che rivela anche un lato patetico come nelle canzoncine che Brad Pitt ascolta in macchina cantate dalla figlia, uno dei momenti più lacrimevoli della pellicola. Quello decisamente più commovente è quando getta via l’assegno di 12 milioni di dollari, un momento veramente indimenticabile che farebbe rabbrividire ogni americano o europeo presente. In questo contraddittorio che vacilla tra avidità e buoni sentimenti, si salva forse l’atteggiamento un po’ sbarazzino di Brad Pitt che è comunque accompagnato da un gran cast, da Philip Seymour Hoffman a Robin Wright, che salvano questo insulso film da astruse categorie filosofico-economiche.

Vai alla SCHEDA FILM