Roma non alza la testa

20/10/09 - Manca ancora il grande film alla quarta edizione del Festival di Roma, anche se "Alza...

alza la testa

“Alza la testa”, dell’italiano Angelini, e “The Last Station” di Michael Hoffman: il concorso del Festival capitolino dalle stelle alle stalle

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

Alza-la-testa-Sergio-Castellitto_mid20/10/09 – Manca ancora il grande film alla quarta edizione del Festival di Roma, anche se ”Alza la testa” di Alessandro Angelini ha rischiato seriamente di esserlo, almeno per la prima mezz’ora abbondante: un Castellitto gigantesco nel ruolo del borgataro, razzista ma amico di rumeni e sposato un tempo con un’albanese; un’ambientazione azzeccatissima quale quella di Ostia-Fiumicino e di quel mondo borderline appena al di fuori della Capitale; una regia violenta e scattante, piena di macchina a mano e di tensione; un rapporto padre-figlio calato nell’ambiente della boxe e dunque impostato sulla corporeità; una narrazione secca e asciutta…Poi, però, nel momento in cui il personaggio di Castellitto deve scontare un enorme senso di colpa, allora il film di Angelini ripiega su binari meglio conosciuti e praticati – spesso male – dal cinema italiano: l’incontro con il diverso, con l’Altro (che può essere l’immigrato, il transessuale, ecc.). Nulla da eccepire a riguardo, ma quello in cui cade con facilità il nostro cinema è la lasca verosimiglianza di questi incontri che provocano sovente una trasformazione forzata. ”Alza la testa” non sfugge alla regola, pur mantenendo una discreta forza e una maggiore motivazione dei personaggi rispetto a quanto si vede di solito. Ma è evidente lo scarto tra l’estremo realismo della prima parte e il ricorso al racconto morale nel prosieguo della pellicola, fino al finale decisamente sopra le righe. Vien da pensare comunque che quando Angelini riuscirà a trovare la storia giusta forse riuscirà davvero a diventare uno dei nostri maggiori registi.

The-Last-StationSe si fatica ancora a trovare il miglior titolo del Concorso, non altrettanto si può dire del peggiore: ”The Last Station” di Michael Hoffman, fiacca e laccata ricostruzione storica dell’ultima fase della vita dello scrittore russo Lev Tolstoj, interpretato con un certo disagio da Christopher Plummer. In realtà, più che la Storia, a Hoffman interessava il conflitto ”amoroso” intorno a questa figura imponente: sia la moglie (Helen Mirren, anche lei poco convincente) che i seguaci di Tolstoj, capitanati da Paul Giamatti (straordinario come al solito), vorrebbero lo scrittore tutto per sé. E allora forse ”The Last Station” fallisce maggiormente nella costruzione dei personaggi, piatte figurine sempre identiche a se stesse e, insieme, nel dosaggio delle tonalità, dal comico al dramma e viceversa. In proposito Hoffman ha dichiarato di voler recuperare degli elementi della cultura russa, a partire dal grottesco. Ma se si eccettuano le sopracciglia di Giamatti e le sue varie smorfie, resta ben poco di quel coté, tutt’altro che rappresentato dalla gag dello starnuto (il personaggio di McAvoy, Bulgakov, ha infatti una veemente reazione alle mucose nasali ogni volta che è nervoso).