Sguardi sonori

24/03/10 - Una vecchia canzone country di John Denver, emblema forse di questo genere, diceva “Strada di...

Sguardi sonori
“Crazy Heart”: il vecchio suono di casa

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg24/03/10 – Una vecchia canzone country di John Denver, emblema forse di questo genere, diceva “Strada di campagna, portami a casa, al posto a cui appartengo”. Il film di Scott Cooper si incarica di fare questo, riportare a casa, al cuore del proprio animo, il protagonista principale, uno straordinario Jeff Bridges nel ruolo di un cantante country che ha perso la via, tra fallimenti e alcool. Cooper, in questo “recupero” si fa aiutare da Stephen Burton e T-Bone Burnett, quest’ultimo prodigioso autore di musica folk-country d’autore. Il duo crea una bellissima compilation di musica western, oscillante tra il rock e i suoni più tradizionali degli Stati Uniti, che segna – tra brani originali e prestiti altrui – il percorso di Bad Blake verso la sua musica, la sua casa.

Aperto dalla suadente Hold on You, cantata da Jeff Bridges stesso (che mostra una voce molto accattivante), lo score naviga all’interno dei vari sottogeneri della musica più conservatrice e destrorsa d’America, a sottolineare un distacco ironico con l’interprete, tra gli attori più di sinistra di Hollywood: Bridges interpreta 6 delle 16 canzoni di cui si compone l’album, attento a una vocalità emotiva e più raffinata rispetto alla media del genere, duettando nella ritmata Fallin’ & Flyin’ con Colin Farrell, suo successore nel film che interpreta (meno bene) altre due canzoni. Da segnalare l’accenno di Live Forever, cantato da Robert Duvall, che allude direttamente a “Tender Mercies” – film omologo a quello di Cooper, con cui Duvall vinse l’Oscar – e la meravigliosa The Weary Kind, cantata da Ryan Bingham, suggello del ritorno a casa di Blake saggiamente premiato con l’Oscar. Un album sentito e sincero, come il film che accompagna, e che testimonia – se non in toto della qualità musicale del genere country – di sicuro di come la musica della frontiera americana sia la più adatta a raccontare storie di perdenti e di ritorni. A fondare un’epica del cinema, vecchia come il cinema stesso.