The Deep Blue Sea

29/10/11 - Una storia d’amore intensa e sofferta per Rachel Weisz, nell’atteso ritorno di Terence Davies. Al Festival di Roma nel Focus sulla Gran Bretagna.

Dal nostro inviato ERMINIO FISCHETTI

Una Londra cupa e intensa fa da sfondo a The Deep Blue Sea, nuova opera di Terence Davies, che ritorna dietro la macchina da presa per un lungometraggio di fiction a ben undici anni di distanza da La casa della gioia, adattamento dell’omonimo romanzo di Edith Wharton. E l’operazione è piuttosto simile alla precedente: un film in costume ispirato ad un testo preesistente. L’opera all’origine del film è in questo caso una piece teatrale di Terence Rattigan, portata in scena dal solido volto di una dama della recitazione del Novecento come Peggy Ashcroft, e già oggetto di una versione filmica nel 1955 per la regia di Anatole Litvak e con protagonista una Vivien Leigh più tormentata che mai, sia sulla scena che nella vita privata. Rattigan, figura notevole del cinema e del teatro fra gli anni Quaranta e Cinquanta – tra l’altro è lo sceneggiatore e l’autore del testo de Il principe e la ballerina, pellicola oggetto di un altro film presente al Festival di Roma, My Week with Marilyn – resta negli annali della cultura inglese per opere come Tavole separate, Il caso Winslow, The Browning Version e Addio, Mr. Harris. Adattatore e adattato, le sue opere sono un flusso continuo di mescolamenti di teatro e cinema, ben calibrato, elegante, impeccabile. E non poteva esserci erede migliore per lui di Terence Davies, che ora riporta al cinema una delle sue opere più potenti.

The Deep Blue Sea, infatti, ripercorre gli sfondi borghesi e i personaggi travagliati tipici della poetica di Rattigan. I tormenti di una società dilaniata dal perbenismo e dal bigottismo che non lascia scampo a coloro che non rispettano i rigidi meccanismi delle sue convenzioni. La protagonista, Hester (Rachel Weisz), è infatti la ricca e ammirata moglie di un giudice della corte suprema che si invaghisce di un ex-pilota della RAF, attraente e più giovane di lei, che vive dopo anni ancora della gloria del suo eroismo in guerra, ma dopo quello non ha concluso granché. Lei abbandona qualsiasi regola sociale lasciando il marito e andando a vivere con l’amante. Ma la passione, estrema di lei, mentre assai più lieve è quella di lui, ben presto lascia spazio a sentimenti più contrastanti e lo scotto da pagare sarà, per Hester, molto alto. In un’operazione del genere il difetto di Davies sarebbe potuto essere quello di nascondersi dietro la patina di un calligrafismo datato e zuccheroso, invece costruisce una storia d’amore asciutta e dalla struttura pulita. Il regista delinea infatti armonie di gusto ricercato e raffinato che si avvicinano, in primis, a quelle di un autore come David Lean e in senso più stretto a Breve incontro, pellicola del 1945 che gioca per tutto il film con la colonna sonora di Rachmaninoff e racconta di un amore altrettanto tormentato. Un film, quello di Lean, dove la guerra non c’è, è finita, la cui ombra è però palpabile sia nella esteriorità che nella interiorità dei personaggi.

Questo avviene anche in The Deep Blue Sea, dove il rapporto tra immagine e colonna sonora si svolge all’insegna di un altro concerto, quello di Samuel Barber, che in particolare segna l’inizio e la fine del film (scene di un lirismo ineccepibile, specialmente nell’inquadratura finale che richiama ad una Londra ancora piena di macerie). Anche in questo caso una struttura narrativa a flashback, appartenenti al personaggio femminile, delimita i contorni di un’opera senza sbavature, cucita in una durata esatta e mai sbrodolata; anche in questo caso lo sfondo è quello degli interni e dei luoghi anonimi delle stazioni, dei bar e delle strade desolate. I topoi utilizzati sono gli stessi ed in entrambi i casi, la donna passionale che abbandona l’uomo freddo e maturo per uno giovane e focoso sapendo di ritrovarsi senza niente se non la consapevolezza di aver vissuto e aver scelto, rimanda ad un classico sempre contemporaneo come la Anna Karenina di Tolstoji. E Davies non distoglie neppure l’occhio da un contemporaneo di Rattigan, Graham Greene e al suo romanzo The End of the Affair portato sullo schermo, con uno stile e una fotografia anche lì molto eleborati e contrastati, da Neil Jordan nel 1999, con Julianne Moore e Ralph Fiennes (ne esisteva già una versione del 1955 con Deborah Kerr e Van Johnson). Neanche a dirlo la confezione di The Deep Blue Sea è perfetta, mai patinata, e la fotografia di Florian Hoffmeister è un capolavoro di toni contrastanti, morbidi e graffianti, ora luminosi, ora cupi. Nei primi due giorni del Festival romano questo “piccolo” film di Terence Davies, passato inosservato, è stata la vera sorpresa di un’edizione altrimenti monotona.

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