Venezia, la doppia sorpresa

11/09/09 - Finalmente si può dire, in un`edizione veneziana piuttosto prevedibile, “il film che non...

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Inaspettatamente Giuseppe Capotondi, alla sua opera prima con ”La doppia ora”, presenta il miglior film italiano in concorso al Lido. Sbadigli per la retorica reazionaria dell`egiziano ”El mosafer” di Ahmed Maher, con uno sprecato Omar Sharif

(Dal nostro inviato Massimiliano Schiavoni)

la20doppia20ora20111/09/09 – Finalmente si può dire, in un`edizione veneziana piuttosto prevedibile, ”il film che non t`aspetti”. Anche se, a dire il vero, la partecipazione di Ksenia Rappoport e Filippo Timi faceva ben sperare, visto che finora si sono sempre dimostrati garanzia di una certa qualità . Così, In un colpo solo, ”La doppia ora” di Giuseppe Capotondi ha spazzato via la delusione per gli scivoloni di autori italiani di maggiore esperienza, come Tornatore e Placido, e conferma che nel nostro paese, terra di eterni (e giustificati) lamenti sulla scarsa imprenditorialità  cinematografica, non sono comunque necessari mezzi faraonici per fare un buon film. Alla sua opera prima, Capotondi non realizza un capolavoro, ma un buon film medio, che gioca col cinema di genere, e che si fa apprezzare per la sua umiltà  e onestà . Qualità  che conducono l`opera a mantenere ciò che promette, e anche a qualcosa in più. Capotondi si colloca in un territorio poco (o non più) esplorato in Italia, quello della commistione dei generi, ma va oltre la frequente autoreferenzialità  di operazioni simili e finisce per collocarsi in un suo territorio personale, in cui l`abusata definizione di ”thriller dell`anima” scolora in favore di una riflessione universale sugli (auto)inganni della coscienza. Il pregio, innanzitutto, è di sceneggiatura. L`autore ripercorre, questo sì, la non nuovissima struttura a ribaltamento narrativo di derivazione statunitense (a un certo punto la narrazione piazza una sorpresa che costringe a rileggere in altra chiave tutto ciò che si è visto fino a quel momento), ma la sfrutta in modo intelligente, non relegandola cioè a trovatina finale per far sobbalzare, o irritare, lo spettatore, bensì collocandola a tre quarti del percorso, e proseguendo poi in un progressivo sovrapporsi tra realtà  e sogno. Riecheggia ne ”La doppia ora” una struttura da ”Mulholland Drive” (con soluzioni, sia chiaro, molto più trasparenti e univoche). Se nell`opera di David Lynch la prima parte poteva essere letta come sogno compensativo scaturito dalla disperata realtà  della seconda parte, qui invece la prima sezione narrativa si configura come una sorta di espiazione inconscia, di tormentosa elaborazione di un inestinguibile senso di colpa, che non trova una sua catarsi nemmeno nel finale. In opere simili è altissimo il rischio della freddezza cerebrale, e della messa in gioco di personaggi poco più che funzionali. Capotondi, invece, riesce a tenere vivi, credibili ed emozionanti entrambi i suoi protagonisti, con una menzione speciale per Ksenia Rappoport (è lei, del resto, la vera protagonista del film; Filippo Timi stavolta ha un ruolo più subordinato). Dopo ”La sconosciuta”, l`attrice russa ritorna a un personaggio avvolto e imprigionato nel mistero, di cui è al tempo stesso vittima e carnefice, e si conferma un`ottima scelta per ruoli di questo tipo. Convince un po` meno l`apparato tecnico-formale, un po` acerbo, senza sbavature ma niente più che corretto. Ma ”La doppia ora” resta comunque un`opera prima da accogliere con massimo rispetto, e fa piacere, ribadiamo, che in una selezione italiana in concorso caratterizzata da autori affermati in scarsa vena (Tornatore e Placido) o non del tutto convincenti (Comencini), sia proprio un`opera prima a emergere come la migliore.

Ha annoiato fino allo spasimo, invece, ”El mosafer” (titolo internazionale ”The Traveller”) di Ahmed Maher, opera egiziana presentata in concorso con una certa risonanza per la presenza nel cast di Omar Sharif. Malgrado l`apprezzabile cura formale, l`eleganza della confezione (scenografie e costumi) e la scansione narrativa in tre tempi in cerca di raffinatezze e rimandi interni, ad annoiare è la retorica passatista, piuttosto reazionaria, in cui l`autore immerge la sua opera. Niente di male di per sè nel riproporre un`idea ultra-romantica dell`amore e nel lamentarsi dei tempi moderni a contrasto con i valori perduti del passato, ma ”El mosafer” non argomenta nessuna delle sue riflessioni, e si ripiega in un insistito piagnucolio, patetico oltremisura, privo di reale motivazione. Il protagonista rievoca tipici eroi da letteratura russa, prigionieri di un disperato sentimentalismo (viene in mente il protagonista de ”Le notti bianche” di Dostoevskij, e vari personaggi cecoviani), e nella nostalgica rievocazione della memoria riverberano evidenti fellinismi. La commistione di vagheggiata memoria e sconsolato realismo conserva pure un suo fascino, ma su tutto domina un inutile patetismo fuori tempo massimo. E l`interpretazione di Omar Sharif, confinato all`ultima mezz`ora, si allinea al tono generale in un ritratto umano di pura maniera.