La vie d’Adèle – Chapitre 1 & 2

Con la trasposizione di una graphic novel transalpina, Abdellatif Kechiche vince la Palma d'Oro a Cannes, un premio da dividere con le due splendide protagoniste, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos.

Chissà se riuscirà finalmente Abdellatif Kechiche, tra i più autorevoli cineasti venuti alla luce nell’ultimo decennio (o poco più) a ottenere il riconoscimento principale a un festival. Da quando esordì quarantenne nel 2000 con Tutta colpa di Voltaire, ricevendo alla Mostra di Venezia il premio per la migliore opera prima, Kechiche si è segnalato come l’autore nuovo del cinema europeo per antonomasia, in grado di ripercorrere le orme dei grandi del passato senza mai perdere di vista l’universo che lo circonda. Dopo Tutta colpa di Voltaire, fu la volta prima de La schivata e quindi de Cous cous, che non riuscì ad accaparrarsi il Leone d’Oro solo per la spaccatura insanabile in sede di giuria tra i difensori del film di Kechiche e quelli dell’altrettanto splendido ed essenziale Io non sono qui di Todd Haynes (tra i due litiganti, destinati a condividere il premio speciale della giuria, godette l’Ang Lee di Lussuria). Una sorte ancora più avversa si abbatté nel 2010 su Venere nera, tragica biografia dell’ottentotta Saartjie Baartman, trasformata in fenomeno da baraccone nell’Europa della Restaurazione, che tornò a casa a mani vuote dal Lido.

Al di là del giudizio di merito che emetterà la giuria presieduta da Steven Spielberg, l’apparizione sulla Croisette di La vie d’Adèle – Chapitre 1 & 2 ha svolto lo stesso ruolo di una profonda scossa tellurica nel finora altalenante e spesso compassato concorso della sessantaseiesima edizione del Festival di Cannes. Tratto da una graphic novel di grande successo oltralpe (Le bleu est une couleur chaude di Julie Maroh), il film narra la vita dell’Adèle del titolo dall’adolescenza ai ventitré anni, più o meno: nel mezzo prende corpo soprattutto l’appassionata e straziante storia d’amore con Emma, più grande di lei di alcuni anni. Kechiche, come d’abitudine per la sua poetica, costruisce una sinfonia avvolgente, in grado di protrarsi ipoteticamente all’infinito, in cui la narrazione procede per macro-segmenti, unendo in maniera pressoché indissolubile l’indispensabile all’effimero, la visione d’insieme al dettaglio più microscopico. Straordinario direttore di attori, il cineasta transalpino trova nella splendida Léa Seydoux l’interprete perfetta per donare corpo e anima al personaggio di Emma. Ma è la semisconosciuta Adèle Exarchopoulos a rubare la scena a tutti: nella parte della protagonista, la giovanissima attrice – appena diciannove anni – irrompe in scena in un mix stordente di bellezza, fragilità, intensità espressiva, perfetto controllo del linguaggio del corpo, occupando lo spazio scenico con timida e sfrontata eleganza. La macchina da presa di Kechiche le si incolla al viso, senza mai perderla di vista, inseguendola anche negli angoli più bui e scomodi di una storia che tiene lo spettatore sempre sull’attenti, in grado di muoversi nello spazio-tempo con una libertà che possiede qualcosa di seducente ed emotivo.

Perfettamente conscio del suo ruolo di demiurgo, Kechiche non si limita a “rifare” il romanzo a fumetti della Maroh, ma lo tradisce in continuazione – l’assunto stesso di partenza è dissimile dalla pagina disegnata, e anche il nome della protagonista, che passa da Clémentine ad Adèle – innervandolo con la verità delle due ragazze che ha di fronte a sé, mettendole in scena prive di qualsiasi velo, metaforico e non. Anche per questo La vie d’Adèle (i capitoli sono in riferimento alla doppia mise di Emma, da principio con i capelli di colore blu, e quindi biondi) colpisce lo spettatore con una potenza inimmaginabile, costringendolo a vivere un saliscendi emotivo al quale è operazione quantomai ardua tentare di porre freno. Negli occhi frementi, irrequieti e innamorati della Exarchopoulos si legge un’angoscia del vivere che è propria di un’età in cui tutto appare alla portata eppure irraggiunbile, anche quando lo si possiede. La sequenza in cui Emma caccia di casa Adèle e questa cerca disperatamente di dissuaderla rientra di diritto tra gli squarci più difficili da risanare non solo di questa edizione di Cannes ma dell’intera annata cinematografica.
Tenero, doloroso, perfino politico nella pervicace volontà di Kechiche di ricondurre anche la più intima esperienza umana a un discorso di classe, La vie d’Adèle è una di quelle opere in grado di spaccare a metà un concorso. E, chissà, di accaparrarsi un premio.

RAFFAELE MEALE