Madrid, 1987

Il futuro e il passato della Spagna si incontrano e si scontrano in Madrid, 1987 di David Trueba. Film di chiusura al Festival del cine español.
Intervista al regista David Trueba
Intervista all'attrice Marìa Valverde

Il cinema non vive solo di grandi spazi e effetti speciali, a volte bastano due bravi attori, una solida sceneggiatura e quattro mura per inscenare un serrato inseguimento verbale, una seduzione densa di erotismo, tracciare un affresco storico capace di restituire lo spirito di un’intera nazione. È  quello che succede in Madrid, 1987 di David Trueba presentato a Roma nella serata di chiusura del Festival del cine español. Ad essere rinchiusi per la maggior parte del tempo in un unico ambiente sono qui Miguel, un disilluso giornalista di mezza età e Angela, una giovane e ingenua studentessa che, in cerca forse di un “maestro”,  finisce invece facile preda del suo talento affabulatorio. Recatisi nell’appartamento di un amico, i due resteranno chiusi nel bagno e qui le loro insoddisfazioni, speranze, disillusioni e pulsioni primarie, avranno gioco facile per oltre 24 ore di provvida prigionia.

La data e il luogo indicati nel titolo del film non sono affatto casuali, segnano un momento delicato di transizione per la Spagna che, uscita dalla dittatura franchista, è ancora una giovane democrazia, dove gli ex sostenitori del caudillo coesistono con giovani generazioni proiettate nel futuro.  Mentre dunque il disilluso Miguel monologa di giornalismo, arte, letteratura, dei poteri taumaturgici del whisky e dell’importanza imprescindibile della carne, Angela immagina il suo futuro e solo un suo moto di compassione lascerà che i loro corpi così distanti nel tempo e nello spazio si incontrino in un amplesso freddo (nonostante il clima torrido) e nichilista. Ben congegnato nel ritmo, il film di Trueba cede a qualche cliché intellettualistico, che tutto sommato però ben si sposa con il vacuo parlarsi addosso del personaggio maschile. Miguel inanella infatti citazioni e motti di spirito, afferma che solo uno scrittore sopravvalutato può fare questa professione e predica che la lettura di Proust è necessaria perché “lo scorrere del tempo è il solo vero oggetto della scrittura”. Vero e proprio tour de force registico capace di tenere con il fiato sospeso nonostante il raggelante ambiente piastrellato Madrid, 1987 vanta le ottime interpretazioni di José Sacristán (che in Italia ha lavorato con Zampa per Letti selvaggi e con Luigi Comencini per L’ingorgo – Una storia impossibile) e Maria Valverde (qualcuno la ricorderà come protagonista di Melissa P. di Luca Guadagnino), due volti opposti e distanti della Spagna, costretti dalla contingenza a comunicare. Mentre il personaggio maschile gigioneggia sprigionando rabbia e pulsioni terrene, lei, eterea e misteriosa (in ossequio all’onomastica del personaggio) si limita per lo più a sorridere come una sfinge, padrona di un linguaggio non verbale assai meno autoreferenziale e, soprattutto, di un futuro ancora tutto da vivere. Il titolo del film fa riferimento inoltre all’anno e al luogo di nascita della Valverde e allo stesso tempo, per il regista, indica il periodo in cui si trovava, come il personaggio di Angela nella capitale spagnola per studiare giornalismo. Una nota a margine significativa, per una pellicola loquace che trasuda autoreferenzialità giocosa e ironica, su cui pesa come una zavorra lo spettro di un passato da dimenticare, mentre la speranza è relegata tutta nei brevi momenti di silenzio e nel fuori campo.

DARIA POMPONIO