Only Lovers Left Alive

Jim Jarmusch racconta una storia di vampiri al contrario, in cui è la mediocre società capitalista a rappresentare un pericolo per i non-morti. In concorso a Cannes.

Trentatré anni trascorsi ai margini della società, con lo sguardo sornione ben nascosto dietro gli onnipresenti occhiali da sole. Il cinema di Jim Jarmusch sembra quasi un calco perfetto del suo creatore: personaggi borderline, storie ambientate in non-luoghi desolati, microcosmi cultivé in netto contrasto con una realtà barbarica, ignorante, del tutto dimentica del passato.
Si muove nella stessa direzione di sempre, Jarmusch, con una coerenza estetica e contenutistica che non corre mai il rischio di essere tacciata di formalismo: non esiste cancrena né arteriosclerosi nella poetica del cineasta nativo di Akron, nell’Ohio, ma artisticamente adottato da New York. Un cinema spesso metropolitano, se si escludono il western lisergico Dead Man e la diaspora alla ricerca di se stesso con la quale si abbandonava alla strada il Don Johnston/Bill Murray di Broken Flowers. Non c’è dunque da stupirsi se Only Lovers Left Alive, decimo lungometraggio di Jarmusch presentato in concorso alla sessantaseiesima edizione del Festival di Cannes, sia in qualche modo il racconto di due città, tra loro agli antipodi eppure complementari: Detroit e Tangeri.

Nella culla del Michigan vive Adam, oscuro compositore di musica sotterranea (nostalgica, per dirla à la Robert Zimmerman), mentre nel porto del Marocco ha costruito la propria dimora Eve, appassionata di letteratura. I due sono amanti da secoli, visto che possiedono la longevità dei vampiri, eppure vivono separati: ma la depressione di cui è vittima Adam spinge la sua compagna a raggiungerlo a Detroit, dove il loro idillio viene rovinato dall’inattesa irruzione di Ava, l’incontrollabile e destabilizzante sorella di Eve. È tutta qui, più o meno, la sinossi di Only Lovers Left Alive: più ancora che nel passato Jarmusch non si accontenta di condurre per mano una narrazione, ma preferisce semmai uscire continuamente dal percorso, improvvisare detour apparentemente privi di una reale necessità, calare la macchina da presa nel magma sonoro e visivo che ha architettato con cura.
Only Lovers Left Alive è l’ennesima ondeggiante avventura drogata del regista statunitense, che coglie l’occasione al volo per trascinare sullo schermo la storia musicale di Detroit, immortalare gli stretti vicoli di Tangeri nei quali si aggirano silenziosi gli spacciatori. Il rock da una parte e la fuga psicotropa figlia della beat generation dall’altra, ma non solo: Jarmusch, gestendo come d’abitudine con ironia, arguzia e straordinaria capacità inventiva i dialoghi sui quali si inerpicano i diversi protagonisti del film, orchestra una polifonia citazionista che diventa l’occasione ghiotta per destrutturare una volta di più i generi canonici. Fu così con il prison-movie in Down by Law, con il western in Dead Man, con il noir in Ghost Dog, con il crime-movie in The Limits of Control, ed è così anche questa volta con l’horror.

I vampiri di Jarmusch non sono creature selvagge, mostri spinti a predare l’uomo per poter pasteggiare con il suo sangue, ma rappresentano al contrario l’ultima resistenza possibile contro la decadenza dei costumi, delle arti, della filosofia e della scienza di cui è vittima la società occidentale. Adam ed Eve, magari non primi nati ma sicuramente mai morti, dialogano di musicisti, drammaturghi, filosofi, fisici e chimici, piangono l’incomprensione cui andarono incontro i vari Galileo Galilei, Niccolò Copernico, Nikla Tesla, soffrono l’usura di un Tempo in cui non possono più riconoscersi. Per questo si rintanano nei loro antri, immobili e in attesa di un’epoca più illuminata: l’unico retaggio dell’illuminismo è difeso da creature che, per la loro conformazione fisica, non possono affrontare la luce del sole.
Only Lovers Left Alive, splendidamente fotografato da Yorick Le Saux (al lavoro anche con Olivier Assayas, François Ozon, Xavier Giannoli e il Luca Guadagnino di Io sono l’amore), è un film notturno ma mai oscuro, rumoroso ma mai frastornato, legato in realtà in maniera indissolubile allo sguardo netto di Jarmusch: uno sguardo che trova compimento anche nelle splendide interpretazioni di Tilda Swinton, Tom Hiddleston, Mia Wasikowska, John Hurt e Anton Yelchin.
A Cannes, una stampa incapace di comprenderne il senso e la forza espressiva, ha rumoreggiato e in parte fischiato sui titoli di coda; in Italia finora nessuno si è preso la briga di acquistarne i diritti. La decadenza della società contemporanea ha davvero bisogno di colti e ironici vampiri per essere combattuta.

RAFFAELE MEALE