Romeo and Juliet

Al di là dell'immenso Giamatti, difetti e sbavature non mancano del dramma di Carlei, ma l'insieme risulta comunque armonico e appassionante.

In un’epoca in cui la lettura non è certo il passatempo preferito tra i giovani, ogni metodo è lecito per diffondere la conoscenza dei classici. Per questa ragione, pur inserendosi in una tradizione lunga e gloriosa, l’ennesima rilettura di Romeo and Juliet non ci sembra un’occasione sprecata nella misura in cui rende giustizia all’originale shakesperiano. L’elegante versione di Franco Zeffirelli, nonostante il suo valore artistico, ci sembra un po’ datata per stimolare l’interesse degli adolescenti che, più facilmente, hanno avuto a che fare con l’eccentrico Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann. Prendendo la direzione opposta a quella del regista australiano, Carlo Carlei fa della fedeltà all’originale la sua prima preoccupazione. Adattato dall’inglese Julian Fellowes, premio Oscar per Gosford Park di Robert Altman nonché creatore di Downton Abbey, Romeo and Juliet è un’opera sontuosa in cui i reparti tecnici mettono in campo le loro eccellenze. Il film è stato girato on location a Verona e in parte a Mantova. Le splendide architetture e le campagne settentrionali sono fotografate con sapienza da David Tattersall, a vestire i personaggi con precisione filologica ci pensa il costumista Carlo Poggioli e le suggestive musiche sono firmate dal compositore di A Single Man Abel Korzeniowski.

Carlo Carlei ha ben presenti i gusti del giovane pubblico americano, principale target delle grandi produzioni. La sua regia, aiutata dalle piccole modifiche di Fellowes volte a modernizzare la tragedia degli sfortunati innamorati veronesi, valorizza gli aspetti romantici e spettacolari della storia. Ampio spazio viene dato all’incontro tra Romeo e Giulietta, ai loro palpiti giovanili, al matrimonio segreto celebrato da Frate Lorenzo, ma anche agli spettacolari duelli tra i clan dei Capuleti e dei Montecchi. In un’opera come questa l’alchimia tra i due protagonisti è l’ingrediente essenziale, ma i nomi di Hailee Steinfeld e Douglas Booth rispondono a una doppia esigenza: avvicinarsi all’originale shakespeariano, visto che per la prima volta vediamo sullo schermo una Giulietta quattordicenne, mentre Booth, all’epoca delle riprese, aveva diciannove anni, e attrarre l’attenzione del pubblico teen. A conti fatti la scelta di Booth è la più azzeccata. Il giovane attore londinese è sufficientemente carismatico da sostenere la drammaticità dell’iconico ruolo di Romeo. Pur infondendo nella sua Giulietta l’ingenuità e la freschezza della sua età, la Steinfeld sembra più a suo agio nelle praterie del West che nella Verona rinascimentale e le complesse battute del Bardo mettono alla prova la sua recitazione acerba evidenziandone a tratti le carenze.

Privilegiando la gioventù del cast, Romeo and Juliet tende a stemperare la componente erotica e drammatica a favore di una visione più romantica e meno viscerale. Damian Lewis, star di Homeland, nei panni di Lord Capuleti fornisce una perfomance variegata che oscilla tra furia e gaiezza, ma a spiccare è soprattutto il Frate Lorenzo di Paul Giamatti. Il talento del carismatico interprete gli permette di creare senza sforzo una figura intensa ed empatica e tra tutti gli attori è il solo a non ricorrere all’espediente della recitazione sovraccarica e affettata di stampo teatrale. Al di là dell’immenso Giamatti, difetti e sbavature non mancano del dramma di Carlei, ma l’insieme risulta comunque armonico e appassionante. Sarà merito del Bardo, non lo dubitiamo, ma l’ultimo abbraccio mortale dei due innamorati nella cripta tombale dei Capuleti riesce sempre a provocare un brivido.

Valentina D’Amico per Movieplayer.it Leggi