A Woman and War

La guerra e soprattutto l'identificazione collettiva con l'Imperatore-dio ha creato nelle coscienze dei protagonisti (in particolare dei due personaggi maschili) una lacerazione così profonda da non poter essere più sanata.

Adattamento di una novella di Ango Sakaguchi, A woman and war, di Junichi Inoue, presentato in concorso alla 31.ma edizione del Torino Film Festival, è ambientato a Tokyo nelle ultime fasi di guerra sul fronte dell’Oceano Pacifico e segue le vicende di tre personaggi. Una donna (Noriko Eguchi), un tempo prostituta e ora proprietaria di un bar, si lega ad uno scrittore in crisi, Nomura (Masatoshi Nagase), condannato da una depressione senza scampo; non ha mai provato piacere, una condizione che ha fatto diventare quasi naturale, per gestire al meglio il grande numero di clienti nel bordello. Nel bar conosciamo anche il terzo vertice di questo triangolo, un soldato (Jun Murakami) che ha perduto il braccio in battaglia. Guardato con paura dal figlio e con pietà dalla moglie, non ha più nulla da chiedere alla vita, che scorre con desolante piattezza. Fino a quando, nel tentativo di bloccare uno stupro di gruppo, non scopre di provare piacere nell’assistere (e compiere) atti di violenza. Adesca così giovani vittime per poterle violentare e uccidere. Intanto l’imperatore Hiroito dichiara la resa e comunica la decisione via radio ad un popolo incredulo, devastato dal conflitto. L’opera di Inoue, allievo di Kōji Wakamatsu è stilisticamente scabra, girata prevalentemente con macchina a mano, con un realismo che diventa quasi insostenibile nelle sequenze degli stupri, con primi piani insistiti sui volti delle vittime. Gli interni non sono accoglienti, mentre gli esterni ci mostrano una Tokyo in rovina. Una struttura formale che ben si lega al senso del film.

Letto come atto d’accusa ferocissimo contro la mentalità militarista giapponese, A Woman and War acquista una valenza profonda e genuinamente politica. La guerra e soprattutto l’identificazione collettiva con l’Imperatore-dio ha creato nelle coscienze dei protagonisti (in particolare dei due personaggi maschili) una lacerazione così profonda da non poter essere più sanata, come se in assenza della guida morale per eccellenza, diventato uomo come tutti, si perdesse la bussola a tal punto dal non capire più chi si è. Se compiere atti violenti in tempo di guerra non è la stessa cosa che compierli in pace, cosa succede se questo scarto, “la differenza tra una medaglia al valore e una condanna a morte” dice il militare, non si compie? Ci si mette in condizioni tali da considerare i rapporti umani, in particolare quello uomo-donna, come atto di sopraffazione, di dominio incondizionato. Il soldato che ha perso un braccio sul fronte cinese, reo di indicibili atti di violenza nei confronti di donne e bambini, è impotente, incapace di relazionarsi con l’altro da sé, e solo attraverso il sadismo perpetrato a oltranza riesce a provare piacere; allo stesso modo la prostituta frigida, terrorizzata dalla possibilità di lasciarsi andare completamente al piacere, riesce ad essere ‘ricettiva’ solo se costretta con la violenza. Il terribile incontro fra questi due estremi genera il figlio del nuovo Giappone, una nazione nata sulle ceneri fumanti delle città rase al suolo dagli attacchi aerei, evidentemente in grado di competere con tutti in ogni settore, ma ancora incapace di fare i conti con il proprio passato. Inoue prova ad aprire gli occhi e quello che si vede non è per niente confortante.

Francesca Fiorentino per Movieplayer.it Leggi