Alla Sic il razzismo nei confronti degli albini in Africa commuove

Noaz Deshe alla sua opera prima "White Shadow" realizza un'opera di denuncia dal forte impianto autoriale.
Intervista a Noaz Deshe a cura di Giovanna Barreca

Chi nasce con la pelle bianca da genitori neri, in Africa, è condannato due volte. Una dal sole che ferisce la pelle e non permette a tali persone una vita all’aria aperta. La seconda condanna arriva dagli uomini che, per antiche credenze religiose, li credono dei portatori di sfortune e, cosa peggiore medici e stregoni offrono ingenti somme di denaro per comprare parti del loro corpo (sono disposti anche a pagare fino a 5000 dollari per un loro arto,in un paese – la Tanzania – dove il reddito medio annuo è di 442 dollari). In diversi documentari girati da registi soprattutto europei il dramma era stato denunciato in tutta la sua tragicità, anche perchè dal 2008 al 2010 gli omicidi si sono moltiplicati esponenzialmente. Per la prima volta l’artista e filmaker tedesco Noaz Deshe – alla sua prima regia -, dopo aver vissuto per un lungo perido in Tanzania, ha girato White Shadow che è un film di finzione con un rispetto e uno stile autoriale netto fatto di inquadrature che sono colte nel vero delle baracche tanzanesi, con molta attenzione alla bellezza delle ambientazioni tra terre desolate, erose dal vento e dalla sabbia. Anche da tale paesaggio, metaforicamente, viene trasmessa allo spettatore tutta l’inquietudine vissuta dal giovane Alias. Nella lunga intervista con l’autore, abbiamo potuto ascoltare dalla voce di Deshe come ha lavorato sul territorio e la passione che la piccola troupe ha messo nel progetto. Uno dei migliori film proposti quest’anno dalla Settimana della critica.
GIOVANNA BARRECA