Beppe Grillo al cinema

Anche Beppe Grillo ha un breve passato al cinema. Tre film con Comencini, Risi e Laudadio. Tutti e tre di scarso successo e invisibili da anni.

In attesa di capire quale sarà il suo ruolo nella storia delle nostre istituzioni, tema principe di questi primi, confusi e convulsi giorni post-elettorali, si può quantomeno constatare l’estrema poliedricità della figura di Beppe Grillo. Sul finire degli anni ’70 si è affacciato sugli schermi della vecchia tv italiana monoespressiva (era appena nata la tv libera, ma in un regime di totale deregulation) quando però la Rai, seguendo i probabili stimoli della neonata concorrenza, si concedeva a interessanti sperimentazioni e aperture verso nuove forme televisive. Nacquero così i primi varietà-contenitore basati sul cabaret, tutti antesignani del successivo “Drive In” berlusconiano, in cui Antonio Ricci faceva da autore a un simpatico provocatore barbuto, Beppe Grillo per l’appunto. Uno dei più efficaci della sua generazione, ottimo ritrattista di vizi e vezzi italiani. Rabbioso, risentito, populista magari, ma uno dei pochi che in quegli anni oscuri e illuminati (da un lato l’austerity e gli anni di piombo; dall’altro rivoluzioni creative e arie fresche in tv) chiamasse le cose con il loro nome attraverso il più popolare dei mezzi: la Televisione di Stato che da poco aveva acquisito il colore. Come tutti i comici tv del suo tempo, anche Grillo fu corteggiato dal cinema, nel tentativo di riconvertire in buoni incassi la sua popolarità presso il pubblico. Ma a differenza dei coevi Giancattivi, Carlo Verdone, Roberto Benigni, Massimo Troisi e quant’altri, che uno dopo l’altro passarono da tv a cinema, Beppe Grillo si affidò ad autori collaudati, mostrando a suo modo un’umiltà diversa dai suoi colleghi di palcoscenico, che scelsero più o meno tutti di autodirigersi.

Grillo fu scelto invece come protagonista da Luigi Comencini (Cercasi Gesù, 1982) e Dino Risi (Scemo di guerra, 1985), il secondo di nobilissima ascendenza letteraria, poiché ispirato a “Il deserto della Libia” di Mario Tobino. Due progetti cinematografici preesistenti a Grillo, per i quali fu scelto non tanto come comico bensì come “attore”. D’altronde, la personalità comica di Grillo mal si prestava a una traduzione diretta in cinema. Mentre Verdone presentava una sua galleria di colorite caratterizzazioni, in qualche modo “narrabili”, e Troisi e Benigni costruivano i propri rispettivi mono-personaggi in un’ottica comunque drammatica, Grillo si poneva come “”Savonarola della tv”, fondando la propria comicità sull’invettiva diretta. Come trasformare un simile profilo umano in racconto cinematografico? Complicato, diremmo. Così Comencini e Risi tentarono di scoprire in Grillo un mite attore di semitoni, ma in entrambi i casi composero opere tarde e spente, tipici esempi di produzioni senili di grandi autori ormai al tramonto. Più personale è invece la terza e ultima prova di Grillo al cinema, Topo Galileo (1987) di Francesco Laudadio, su soggetto e sceneggiatura di Stefano Benni, musiche di Fabrizio De André e Mauro Pagani. Produttore, Reteitalia di Berlusconi. Apologo surreale e di polemica antiatomica, tutto fondato sulla personalità di Grillo, il film non ebbe alcun successo (come del resto gli altri due precedenti) ma curiosamente pare anticipare alcune delle tematiche più fondanti dell’attuale Movimento Cinque Stelle. Con rinnovata umiltà, visti gli scarsi risultati, Grillo è poi sparito dal cinema, senza farvi più ritorno. E ad oggi è in tutt’altre faccende affaccendato.

MASSIMILIANO SCHIAVONI