Ca’ Foscari: la Turchia oppressa come l’anziano Necati

Yasin Dalgiç in Dead end usa il tragico viaggio verso gli inferi del suo protagonista per raccontare la situzione politico-sociale del suo paese e il rapporto tra lo Stato e la popolazione. La nostra intervista al regista.
Intervista a Yasin Dalgic a cura di Giovanna Barreca

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Sinossi. Necati, un anziano detenuto appena uscito di prigione, si ritrova a dover ricominciare da zero la propria vita. Solo e abbandonato dai suoi stessi figli, trova ospitalità presso il figlioccio Fikret, il quale gli offre un posto nello stabile di un parcheggio del quale l’uomo diventa custode notturno. Nonostante la propensione ad adattarsi al nuovo contesto, Necati si ritrova ben presto vittima di una serie di sfortunati eventi che lo riporteranno al punto di partenza. Il regista presenta una riflessione sull’uomo e sul fato mostrando come, a volte, nonostante l’impegno, ci si possa imbattere in una strada senza uscita.

Yasin Dalgiç studia cinema alla Yaşar University Film Design e al Ca’ Foscari Short film festival con Dead end porta la Turchia di oggi raccontata attraverso l’esistenza di un uomo ai margini che non riesce a tornare nella società e ricade in un vortice di dolore e di morte. Intento nobile ma tutto il corto è incentrato su un protagonista che non sa trasmettere allo spettatore il suo disagio, il suo distacco dalla realtà che lo avrebbe reso maggiormente credibile. E anche i personaggi loschi e la vicina che gli girano attorno sono piuttosto stereotipati.
Ai nostri microfoni il regista, classe 1997, spiega la difficoltà nel girare in un luogo normalmente molto affollato e quando nel corto voleva trasmettere il senso di oppressione delle popolazione turca e su quale scena ha lavorato per raccontare la “rinascita” del protagonista.

giovanna barreca