Continuano le polemiche a Torino

Scambio di lettere e comunicati al vetriolo tra Steve Della Casa, presidente della Film Commission piemontese, e Ugo Nespolo, presidente del Museo del Cinema, a proposito della querelle Salvatores.

Non si placa la polemica intorno alla successione di Gianni Amelio. Steve Della Casa, presidente della Torino Film Commission, scrive una lettera aperta ai giornali in cui difende la sua posizione in merito alla proposta di nominare direttore Gabriele Salvatores. Gli risponde Ugo Nespolo, presidente del Museo Nazionale del Cinema.
Ecco la lettera di Steve Della Casa e, a seguire, la risposta di Ugo Nespolo:

“Scrivo queste righe solo per precisare alcuni passaggi a proposito di quella che è stata definita “la guerra del TFF”. Non so se di guerra si sia trattato, ma sicuramente di uno scontro che ha avuto molte zone opache. Siccome l’opacità non mi piace, cerco almeno da parte mia di fare chiarezza.
Un amico che stimo, politico di lungo corso sulla scena torinese, mi ha proposto la seguente ricostruzione dei fatti che (a detta sua) circola in molti ambienti cittadini. La scadenza del mio mandato come presidente di Film Commission mi avrebbe reso desideroso di procurarmi un nuovo posto di lavoro. Avrei per questo chiesto a Barbera, nominato direttore del Festival di Venezia, di lasciarmi il suo posto come direttore del Museo. Al suo rifiuto, mi sarei attivato per sponsorizzare Gabriele Salvatores quale nuovo direttore del TFF chiedendo per me il posto di vicedirettore. Questo mio arrivo avrebbe dovuto coincidere con l’azzeramento del gruppo di lavoro che in questi anni ha fatto il festival e al tempo stesso, per mettere tutti di fronte al fatto compiuto, avrei volutamente fatto filtrare la notizia mentre Gianni Amelio stava lavorando al festival stesso. Credo che a questo alluda l’assessore Braccialarghe quando parla di notizia fatta filtrare in tempi sbagliati.
E’ una ricostruzione che offende non solo la mia correttezza, ma anche la mia intelligenza. Credo che Ugo Nespolo ricordi assai bene che l’ipotesi di una direzione Salvatores lo aveva molto intrigato quando ne parlò con me nel febbraio scorso: in quell’occasione ebbi da lui il mandato di sondare la disponibilità di Salvatores. Credo che i vari collaboratori del festival che ne hanno parlato con me a più riprese manifestando entusiasmo per tale soluzione possano confermare che, nei contatti informali (ripeto: informali) che hanno riguardato il mio vecchio amico Gabriele, non è mai stata nemmeno presa in considerazione l’ipotesi di azzerare i collaboratori, alcuni dei quali mi risulta siano dipendenti. Salvatores invece, come è prassi comune per qualunque direttore di festival sia esso di cinema, teatro, musica, chiese di poter scegliere i selezionatori (liberi professionisti con contratto di consulenza ): tra questi mi chiese di essere il coordinatore. Fino a quel momento l’ipotesi di un mio ritorno al Festival non mi era neanche passata per la testa. Risposi che ci avrei pensato, ritenendomi onorato della proposta.
Ne parlai prontamente, nel mese di maggio, con Alberto Barbera. Fu una discussione franca, nella quale come era abitudine non ci nascondemmo niente. Lui disse che Emanuela Martini aveva rapporti internazionali tali da sostenere da sola la struttura del TFF. Io gli dissi che non mi sembrava plausibile: il festival esiste da trent’anni, Emanuela ci lavora da sei e non mi sembrava che le precedenti edizioni avessero mancato di rilevanza internazionale. Fu l’unica volta che affrontammo l’argomento, mentre con Ugo Nespolo ebbi ulteriori colloqui.
Due precisazioni sono necessarie. La prima: non ho mai offerto (non ne avrei avuto alcun diritto) a Salvatores alcun ruolo dentro il TFF, ho solo sondato una sua disponibilità, mi sembrava un’ottima scelta e per essa mi sono speso. La seconda: quando la notizia uscì sui giornali ne parlai brevemente con l’assessore Coppola (che era presente al primo colloquio con Ugo Nespolo), e lui espresse un suo parere favorevole ma che a sua volta rimandava come è giusto la decisione alle sedi competenti. Per me quella fu una conferma di quanto Coppola stesso avesse a cuore il sistema cinema al di là delle collocazioni politiche, visto che né Salvatores né il sottoscritto sono ascrivibili alle sue posizioni. Se mi si consente ancora una precisazione, vorrei sottolineare il fatto che nel frattempo ho continuato il mio lavoro in Film Commission, ho diretto il Roma Fiction Fest e ho mantenuto il mio programma su Radio Rai; inoltre, ho pubblicato un libro che ha avuto un certo successo e avuto alcuni riconoscimenti. Insomma, come disoccupato di lusso (sia pure in prospettiva) ho avuto il mio da fare.
Questo per quanto mi riguarda. Per quanto riguarda gli altri attori di questa vicenda posso constatare che la disponibilità di un premio Oscar a dirigere il nostro festival è stata considerata come un’interferenza poco gradita. Se si ha piacere di lavorare con un prestigioso nome internazionale della cultura, non gli si prospetta un suo impiego solo se accetta di non poter scegliere neanche un collaboratore. Tutto questo ha di fatto reso vana la disponibilità che i due assessori Coppola e Braccialarghe hanno poi dimostrato recandosi a parlare in trasferta con il regista di Mediterraneo.
Perché si è giunti a tale avvilente punto di non ritorno? Qui entra in gioco l’opacità di cui parlavo prima. Le ipotesi sono tante e nessuno se non i protagonisti potrà confermarle o smentirle. Però è assai arduo fugare il sospetto che ci sia qualche nesso tra la doppia imbarazzante posizione professionale di Alberto Barbera e quanto è stato fatto (o non fatto) per una soluzione così prestigiosa . Così come appare assai strano che l’unico nome che circola per quel ruolo sia quello di uno sconosciuto regista francese che ha però con Barbera una relazione amicale molto stretta. Teoricamente quel nome avrebbe dovuto uscire dalla riunione del comitato di gestione del Museo stesso. Francamente mi domando chi dei suoi componenti conoscesse fino a 48 ore fa il nome di Roland Chammah. E chi si assumerà – eventualmente – la responsabilità di proporlo quale alternativa a un premio Oscar.
In ogni caso, oggi l’ipotesi Salvatores è definitivamente tramontata. Per quanto mi riguarda, dunque, l’affare è chiuso e non me ne occuperò più. Ritengo ragionevolmente che il futuro mi porti altrove. Ma per il mio trentacinquennale impegno sul campo del cinema sotto la Mole, non posso nascondermi la preoccupazione per le conseguenze che tali opacità avranno sul futuro del nostro sistema cinema. Da un lato un evidente conflitto di interesse, mai visto sullo scenario torinese le cui conseguenze sono un danno di immagine e di credibilità che non sembrano essere ancora ben comprese da tutti. Per fortuna ci sono energie sane e più giovani che operano sul territorio: Film Commission e Fip in parte già lo sono, in futuro ancor più saranno gestite da quarantenni quali Davide Bracco, Paolo Manera e Paolo Tenna, nello staff del festival ci sono ottimi professionisti quali Davide Oberto e Luca Andreotti, l’università di Torino ha professori attenti e capaci, prima tra tutti Giulia Carluccio. Credo che da questi vivai verrà fuori un’ottima classe dirigente, se messa in condizioni di agire e di operare. Come sessantenne ex d’assalto, mi chiamo fuori, domandandomi chi sia pronto a fare altrettanto.”

Il comunicato di risposta di Ugo Nespolo

PIU’ REALISMO E MENO INTERPRETAZIONI
Ugo Nespolo, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino, risponde alla lettera inviata ieri ai giornali da Steve Della Casa, presidente Film Commission Torino Piemonte

“Non mi pare si sia alla lotta solo per banali questioni interpretative tipo quelle che contrapposero Martin Heidegger alle velenose critiche della Scuola di Francoforte e neppure, vien da dire, tra ermeneutica e nuovo realismo quello che pretende più fatti e meno interpretazioni per poter correttamente leggere e comprendere le gergali, provinciali, viscerali false diatribe intorno ai fatti ed ai destini del Museo Nazionale del Cinema di Torino e del suo Torino Film Festival. Scartando subito personali opinioni, para ideologie, dietrologie varie, posso con sicurezza dire che Gabriele Salvatores non ha voluto e potuto essere designato (con rammarico di tutti s’intende) alla direzione del TFF, da un lato per la nostra reale impossibilità di licenziare e sostituire la squadra che a quel festival ha da anni lavorato con crescente e visibile successo, e poi per la recente felice conclusione degli accordi che Salvatores ha raggiunto per la realizzazione di due nuovi film da girare a breve in Irlanda e India.
Solo chi lo vuole può pensare che questa per il regista sia solo un’astuta scappatoia ad un problema resosi insolubile. Si sente parlare di fallimento di conclusione catastrofica inopportuna e scandalosa. La verità è che qui nulla è accaduto davvero e soprattutto non c’è stato un finale tragico e irreparabile. Con Gabriele Salvatores cordialità, abbracci, a presto a Torino per il suo nuovo film e grazie davvero, di cuore. Così in scomode sedie da caffè o nelle più confortevoli chaise longues della Mole chi ha davvero a cuore i destini di un sistema cinema unico, pulsante e vitale ha cominciato a ragionare sul futuro immediato del Festival. Lo si fa ora poiché sarebbe stato (come è stato) inopportuno travalicare i limiti dei puri sondaggi
senza mettere in atto uno sgarbo feroce per chi stava all’epoca lavorando e in modo egregio. È proprio a questo punto che si dà sfogo al fluire dei consueti provinciali veleni propinati con l’idea di distillare interpretazioni veritiere, contrapporre capziosamente forze politiche, pretender credito e ragione senza curarsi di stare mettendo in atto (promuovere e partecipare?) alla demolizione di una costruzione solida, collaudata ed invidiata. La logica, persino l’intelligenza avrebbero suggerito di restare uniti (sia pure con i propri punti di vista) in un’epoca in cui il tema principe non pare certo quello di sapere chi dirigerà il TFF piuttosto quello di assicurarsi che il Festival (i Festival!) avranno la forza economica di sopravvivere.
A parlare fuori dai denti poi la scelta di avere un direttore del Museo che è anche l’uomo della Biennale non ci turba né spaventa. Più di uno la considera quasi un’opportunità, persino un vanto. Di certo nessuno da noi vorrebbe privarsi di questo vantaggio. Ridicolo e capzioso dipingere Alberto Barbera un subdolo individuo che lotta (chissà perché) contro Torino a favore di Venezia. Facile capire invece che il presunto conflitto d’interessi piace tanto a chi argomenta forse proprie debolezze e frustrazioni e le coagula in una sorta di conclamato malanimo.
Quasi peggio è poi svilire, screditare all’insulto il nome di possibili personaggi indicati come ipotesi alla guida del TFF. Nessuno crede davvero che nulla possa valere un Oscar. Pratiche basse dal retrogusto amaro, sapore di resa dei conti, V for Vendetta. Roba da dimenticare. In ogni caso sia chiaro che la solida struttura della Fondazione Museo Nazionale del Cinema fatta di Soci Fondatori e il concorde Comitato di Gestione saranno, come da Statuto, sovrani nelle scelte e che il Presidente ha l’incarico di indicare il nuovo direttore del TFF e che questo farà in tempi brevi assumendosene l’onere pur di mettere presto a tacere supposizioni, pettegolezzi, previsioni non autorizzate. Conta il valore del Museo Nazionale del Cinema, una delle maggiori istituzioni internazionali, capace di portare a Torino più di seicentomila visitatori, conta un Festival che quest’anno ha avuto un incremento del sedici percento. Questo mi pare sia doveroso guardare, potenziare e persino amare. Il resto sono soltanto inutili chiacchere nell’ombra, il desiderio malsano di farsi del male”.