A Venezia la versione restaurata di I cancelli del Cielo

Inaugura la sezione Venezia Classici la versione intergrale restaurata in digitale i I cancelli del cielo di Michael Cimino.

La digitalizzazione della nostra memoria è un percorso oramai in corso da anni. Si trasferiscono sui supporti numerici documenti antichi, archivi dei quotidiani, musica, film, fotografie e dagherrotipi. Può però il nitore ontologico dell’immagine digitale restituire l’essenza stessa dell’effimero, lo spessore seducente della grana fotografica, l’epico sollevarsi della polvere in controluce? É legittimo provare al tempo stesso entusiasmo e un briciolo di timore nell’apprendere che Michael Cimino ha acconsentito – e partecipato – alla digitalizzazione del suo capolavoro più vituperato: la maestosa versione integrale (216 minuti) di I cancelli del cielo (1980). Realizzato da Criterion – storico editore di eccellenti Dvd – in collaborazione con Sony (su gentile concessione della MGM, che rilevò il film dopo il fallimento della United Artist, che si dice causato proprio dai costi eccessivi del film) il restauro digitale de I cancelli del cielo ha inaugurato alla 69esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica la nuova sezione “Venezia Classici”, che sulla scia di Cannes Classic propone un cinema “ritrovato”. Cimino, che ha presentato personalmente il film al pubblico, si è detto entusiasta del risultato e ha ringraziato a lungo la sua storica produttrice – anche lei in sala a Venezia – Joan Corelli, che lo ha spinto a tornare a lavorare su un film che gli causò non pochi dispiaceri. Rifiutato infatti dalla United Artist, che impose un nuovo montaggio (la versione di poco più di due ore fino ad ora disponibile), I cancelli del cielo non fu ben accolto né dalla critica né dal pubblico, causando così l’immediata iscrizione del regista in una sorta di black list hollywoodiana. Cimino, il cui ultimo film risale a 16 anni fa (Verso il sole, del 1996, che l’autore, paradossalmente, volle montare in moviola rifiutando l’ausilio dell’Avid) ha ironizzato a lungo sul suo ruolo di regista “maudit” affermando che “Essere tristemente famoso non è bello, e a lungo andare diventa un’occupazione piuttosto bizzarra”. Pallido ed esile, ma come al solito ansioso di comunicare con il pubblico, il regista premio Oscar per Il cacciatore, ha ricevuto inoltre in questa occasione il Premio Persol e ha poi presentato il fautore del restauro: Lee Kline della Criterion.
Grazie alle nuove tecnologie digitali Cimino e Kline hanno potuto recuperare il colore originale della versione integrale del film, pur non possedendone più il negativo, e il regista ha inoltre apportato dei, seppur minimi e impercettibili, cambiamenti del montaggio. Non era facile l’impresa di mantenere l’aspetto polveroso e granuloso che caratterizza le immagini di una pellicola così profondamente pervasa da un senso di nostalgia e rimpianto. Per replicare l’apetto visivo di un dagherrotipo scolorito mantenendo un’ampia profondità di campo (questi erano i desideri di Cimino), il direttore della fotografia Vilmos Zsigmond, dovette rinunciare ad utilizzare soft focus o altri accorgimenti tecnici e inondare l’intero set (esterni del Wyoming compresi) di polvere.
Gli estimatori del film possono tranquillizzarsi, polvere e granulosità dell’immagine sono rimasti intatti, il trasferimento in digitale non ha cambiato affatto il lavoro fotografico e registico di Zsigmond e Cimino. Si avverte a tratti però, un eccessivo lucore dell’immagine, che conduce a neri troppo lucidi e verdi eccessivamente brillanti, mentre il bianco – che di solito il digitale tende a risaltare – è stato opportunamente bandito dalla tavolozza.
Un lavoro più che soddisfacente dunque quello di Criterion, che ci auguriamo possa condurre presto all’edizione in Home Video del film, finalmente integro, in tutti i suoi 216 minuti.