Little Tony: il musicarello e il suo rovescio

A 72 anni scompare Little Tony, icona musicale di un rock nostrano e protagonista di tanti "musicarelli" negli anni Sessanta.

I fiorenti e superficiali anni Sessanta italiani si manifestano sotto molteplici, infinite forme in ambito creativo. Tra le molte varianti, troviamo anche il musicarello, genere fortemente tipizzato che in realtà fa risalire le sue prime apparizioni al decennio precedente, ma che esplode in tutta la sua importanza di fenomeno economico e di costume negli anni del boom. Formula semplicissima, in parte precorritrice del futuro videoclip, che sarà più breve e più aperto a sperimentazioni sul mezzo audiovisivo: prendere un cantante di successo, cucirgli intorno un filmetto rapido e sorridente, un mero canovaccio per lasciargli intonare i pezzi del suo ultimo album, e dare il tutto in pasto a un pubblico in cerca di facili miti, canori e non. Si sfrutta il cinema in funzione della musica, e i miti musicali di casa nostra riempiono le sale cinematografiche. Un rapporto da famelico simbionte. Pur nella frequente povertà e ingenuità d’impaginazione, il musicarello ha ben rappresentato l’ottimismo, la scatenata voglia di vivere e il superficiale benessere di tutta un’epoca del nostro paese. Anche Little Tony, scomparso ieri a 72 anni, ha partecipato a questa “onda anomala” di cinema.

Nel volgere di un paio di decenni la quantità di musicarelli girati fu infatti sconfinata, confezionati in tutta rapidità, con molte ristrettezze produttive e creative, ma anche lampi di folle genialità. Nel caso di Little Tony il musicarello è in realtà debitore di un modello non autoctono: negli stessi anni riscuotevano infatti grande successo negli Stati Uniti i film cuciti addosso a Elvis Presley, a cui Little Tony si è palesemente ispirato per tutta la sua carriera e dal quale ha ereditato anche il concept per lo sfruttamento cinematografico di se stesso. Con una notevole differenza strutturale tra una produzione e l’altra: a Presley confezionavano film in cui le canzoni erano giustificate dal racconto, mentre per Little Tony e per tutto il musicarello italiano la composizione narrativa prevedeva improvvise parentesi canore, in linea col musical americano (o, se vogliamo spararla alta, col teatro greco classico).

L’ambiente creativo del musicarello si trasformò così in una sorta di palestra di casa nostra, dove venne formandosi tutta una futura generazione di autori commerciali, da Bruno Corbucci a Lucio Fulci, da Mario Amendola a Ruggero Deodato. Cinema ingenuo e spesso francamente ridicolo, che però garantiva grandi ritorni economici seguendo una scaltrissima formula che prevedeva anche il riutilizzo di vecchie glorie comiche un po’ in disarmo, come Totò, Macario, Nino Taranto, ma anche talenti più freschi come Franco e Ciccio. A ben vedere, il principio dell’exploitation italiana sui generi è sempre lo stesso: la sommatoria un po’ arbitraria di elementi di successo. Qui, musica, sentimentalismi e comicità. Nel decennio successivo si trasformerà in erotismo e comicità. Scegliere un titolo piuttosto che un altro nella filmografia di Little Tony lascia un po’ il tempo che trova, dal momento che nessuno dei film da lui realizzati è ovviamente un capolavoro. Tuttavia, è interessante vedere come successivamente la sua figura sia stata utilizzata in brevi ruoli nei panni di se stesso. Spesso chiamato a incarnare un mito casereccio sul filo dell’autoironia (e anche un po’ della crudeltà), Little Tony lascia il segno in un breve cameo per L’odore della notte (1998) di Claudio Caligari, bel film nero e cinico sulle bande criminali della Roma anni Settanta. Tra le vittime di rapine in villa spunta anche Little Tony, invecchiato e dimesso, costretto dal rapinatore Marco Giallini a intonare “Cuore matto” in un tragicomico e amarissimo frammento. Prigioniero fino all’ultimo di un’immagine pubblica, di un immaginario collettivo, di un infinito musicarello.

MASSIMILIANO SCHIAVONI