Il segreto di Campanella

“Ancora non so cosa abbia spinto l’Academy a premiare il mio film rispetto ad altri, ma dopo l’Oscar ho saputo da alcuni membri che la storia li aveva coinvolti soprattutto emotivamente”. Così l’argentino Juan Josè Campanella – regista dalla carriera divisa tra cinema e tv (suoi molti episodi di celebri serie USA per il piccolo schermo, quali Law & Order e Dr. House) – prova a “spiegarsi” perché Il segreto dei suoi occhi (nelle nostre sale da venerdì 4 giugno, in circa 60 copie con Lucky Red) abbia avuto la meglio all’ultima notte degli Oscar su titoli del calibro de Il nastro bianco e Un prophète, portando a casa la statuetta come miglior film straniero. “Non penso sia stata una vittoria a sorpresa – dice ancora Campanella – perché i membri dell’Academy non votano in base alla storia precedente del film, o facendo riferimento ai premi vinti in precedenza dai titoli in gara: a convincerli, più che le Palme d’oro e i Golden Globe, sono state le emozioni trasmesse da Il segreto dei suoi occhi. Che prende le mosse dal romanzo di Eduardo Sacheri (in originale “La pregunta de sus ojos”, dal 15 giugno in Italia edito da BUR) e interroga lo scorrere del tempo attraverso le immagini, sovrapponendo alla grigia contemporaneità dei protagonisti (siamo agli inizi del 2000) il riverbero di ricordi mai definitivamente sepolti: il pretesto per Benjamin Esposito (Ricardo Darin) è quello di scrivere un libro, in realtà l’uomo – ora agente in pensione – è in cerca di una verità che metta la parola fine a 25 anni di buio, contrassegnati dalla strana e misteriosa evoluzione di un efferato caso di omicidio, unitamente a quell’amore mai vissuto davvero con l’allora segretaria al tribunale Irene (Soledad Villamil). Metà anni ’70, Buenos Aires, la sua polverosa periferia, uno stadio stracolmo sorvolato da un pianosequenza di oltre cinque minuti (che farà epoca) e che risolverà, momentaneamente, quel terribile caso di violenza sessuale e omicidio su cui Esposito e il collega Sandoval (Guillermo Francella, famoso comico in patria) non hanno smesso di indagare, motivati dall’intuizione del primo, unico ad individuare nelle foto della giovane defunta quel “segreto negli occhi” di un personaggio ricorrente, Isidoro Gómez (Javier Godino), ora sparito dalla circolazione.
“Rispetto al romanzo, insieme a Sacheri (anche sceneggiatore del film, ndr), abbiamo cambiato molte cose – spiega il regista – la più importante delle quali il fatto che nel romanzo tutta la storia che nel film viene poco a poco recuperata è già finita mentre il protagonista inizia a scrivere il suo libro: quello che mi interessava davvero, invece, era proprio questo percorso nella memoria per disvelare alcune ombre del passato, arrivando a capire il presente e, quindi, cambiarlo”.
Anche per questo, il film mescola toni e registri, amalgamando noir, dramma e commedia, seguendo la coerenza estetica di una messa in scena che, grazie al lavoro del direttore della fotografia, il brasiliano Félix Monti, detta i ritmi non solo umorali, ma cromatici, del continuo andirivieni dei vari piani temporali: “Quando ricordi qualcosa, nella mente emergono pochi dettagli ma fortemente marcati – dice ancora Campanella -. Il passato ha pochi colori, ma molto forti, vibranti. Nel presente non operiamo selezioni emozionali, è tutto diluito, eccetto il colore dominante che unisce, appunto, contemporaneità e tempo trascorso: a livello subliminale, esistono colori e composizioni che nel film ritornano con veemenza”. Stessa cosa non si può dire per i rimandi al contesto storico-politico di quegli anni, che alludono al passaggio dalla democrazia alla dittatura argentina, mantenendo però la Storia sullo sfondo del racconto: “Sarebbe stato inutile aggiungere elementi documentaristici su un periodo che i miei connazionali conoscono sin troppo bene e che per gli altri non avrebbe significato granché in termini di sviluppo del racconto – spiega il regista, già in preproduzione con un nuovo progetto, il lavoro animato Metegol -. Con i dovuti distinguo, anche in Casablanca bastava sapere chi fosse il buono, chi il nazista, sapere cosa fosse la Resistenza: per appassionarsi al film non c’era bisogno di conoscere alla perfezione ogni aspetto o risvolto della Seconda Guerra Mondiale”.

Valerio Sammarco