Tavernier, et rien d’autre

“Non lo so che posizione ho nel cinema francese. Trascorro talmente tanto tempo a fare film che non ho tempo per pensarci, anzi, me ne frego altamente. Vado fiero, però, che nella mia carriera ho fatto solo i film che volevo fare, e li ho fatti liberamente”. Parola del grande regista francese Bertrand Tavernier, che oggi riceve il Leone d’Oro alla carriera della 72. Mostra di Venezia, dopo la proiezione di uno dei suoi capolavori – dice il direttore Alberto Barbera – “più ingiustamente sottovalutati”, La vie et rien d’autre.

“A 13 anni, quando decisi di voler fare sceneggiatore, non pensavo che avrei avuto questa vita straordinaria. Lascerò ad altri definizione mia posizione”, aggiunge il regista de L’orologiaio di St. Paul, e precisa: “Ho vinto 4 Cesar, un Delluc, un Grand Prix cinema europeo, non posso dire di non essere stato apprezzato in Francia, non posso lamentarmi. Certo, sono rimasto molto colpito di ricevere questo premio, il Leone d’Oro alla carriera, da un paese che ha avuto Rossellini, Fellini, Risi e il mio grande amico Monicelli (sono stato 5 giorni sul set Amici miei), tutta gente che ho conosciuto e molto amato.

A chi come il connazionale Fabrice Luchini, protagonista al Lido con L’hermine, asserisce la Francia sia finita, Tavernier non si oppone: “Visto il governo che abbiamo, sì, l’impressione è che la Francia sia finita. Io amo la Francia delle associazioni, la Francia dal basso, popolare, l’unica sfuggita a Fronte Nazionale, ma esiste un clima tra le elite piuttosto tremendo: sono le persone che ci governano ad aver bisogno dell’educazione civica, non le scuole. E non solo i nostri politici, pure la Commissione Europea ne ha bisogno. Ho l’impressione che le cose sono finite, però, sì”.

Se Tavernier ringrazia Jean-Pierre Melville e Claude Sautet, “ sono loro ad aver chiesto ai miei genitori di lasciarmi fare del cinema”, un’attenzione particolare la riserva al suo attore feticcio, Philippe Noiret: “Grazie a lui faccio del cinema. Era un signore, un gentleman, con cui io mi sono moltissimo, pazzamente divertito. Aveva un concetto del proprio mestiere fortissimo, era un lavoratore formidabile, con una delicatezza eccezionale”.

Infine, uno sguardo sulla sua Lione, cittadina natale che condivide con i Lumiere: “Sono provinciale e ne sono felice: non mi sento parigino, ho ereditato virtù e difetti di Lione, per questo mi ci son voluti 45 anni per osare parlare di me. A Lione non si risponde a certe domande, esistono pudore, fedeltà, amicizia”.

Federico Pontiggia