Il gatto con gli stivali

24/11/11 - Accompagnato come sempre dalla voce calda di Banderas e da animazioni di alto livello, il felino di Shrek torna sul grande schermo da protagonista.

Gli enormi occhioni da micio strappacoccole ci sono ancora tutti, così come ci sono l’accento spagnoleggiante e le movenze da seduttore d’antan. Nel passaggio da Shrek allo spin-off a lui dedicato, Il Gatto con gli Stivali ha mantenuto il look che lo aveva reso famoso, oltre che l’ottima interpretazione di Antonio Banderas, perfetto nei toni da latin lover così come nei guizzi comici, in cui sembra quasi di intravederlo sotto il cappello con la piuma e sotto la massa di pelo in 3D. La terza dimensione è in effetti uno degli elementi assolutamente centrali del film, che presenta diverse sequenze pensate per essere rese più spettacolari dalla visione stereoscopica. In compenso, quello che il mitico Gatto perde nel passaggio, è l’ironia e la divertente pateticità del personaggio che ha accompagnato l’orco verde sin dal secondo capitolo della saga.

In Shrek 2, il felino comparve in grande stile proprio grazie al contrasto tra l’atteggiamento spavaldo e le sue doti in realtà poco cavalleresche, come quella di sopraffare i suoi avversari con lo sguardo sornione piuttosto che con la spada. In questo spin-off, invece, il lato comico del protagonista è molto sacrificato a favore della sua veste di eroe romantico: forte del 3D, il Gatto con gli Stivali, prima di incontare Shrek, combatte pericolosi criminali, domina giganti, scala leggendarie piante magiche. Il che può essere forse in linea con la favola originale, ma non con quello stile volutamente e ostentatamente dissacratorio che fece la fortuna dell’orco verde. L’unica intuizione che la Dreamworks ha deciso di tenere anche in questo film è la commistione tra storie diverse. Peccato solo non si tratti più di un’operazione straniante dal gusto postmoderno, ma di un’accozzaglia senza senso, dove per qualche motivo non meglio specificato il Gatto con gli Stivali si trova a interagire con Humpty Dumpty, un personaggio delle filastrocche di Mamma Oca, con l’Oca dalle uova d’oro (che però non c’entra nulla con la mamma di cui sopra) e con i fagioli magici. Tutto shakerato insieme senza un vero perché, non come in Shrek, o almeno nel primo e nel secondo Shrek, dove i personaggi si muovevano in un mondo coerente, incentrato sul ribaltamento delle favole classiche, dei loro meccanismi e delle aspettative del pubblico in merito a questi. Nonostante il dispendio di tecnologia e gli ottimi risultati ottenuti dal punto di vista meramente estetico, Il Gatto con gli Stivali in 3D è tutt’altro che una favola contemporanea: è quanto di più tradizionale ci si possa attendere, soprattutto dal punto di vista dell’intreccio e della morale, perseguita con una caparbietà e con una ripetitività che neppure Esopo. Come è lecito aspettarsi da un buon prodotto hollywoodiano, naturalmente non mancano passaggi divertenti e ilari. Ma nulla di davvero così interessante o epocale come fu per la saga da cui è cominciata l’avventura di Gatto.

LAURA CROCE

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