Pollo alle prugne

02/03/12 - L'opera seconda della Satrapi è una fiaba ammaliante fatta per sedurre, ma con un sovraccarico di creatività. In concorso a Venezia 68 e da aprile in sala.

Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO

Attesissima opera seconda della regista e fumettista Marjane Satrapi, Pollo alle prugne è una seducente fiaba iraniana visionaria e grottesca. Presentato in concorso a Venezia 68 e in uscita dal 6 aprile distribuito da Officine Ubu, il film costituisce un vero e proprio banco di prova per l’autrice, che di nuovo in co-regia con Vincent Parannaud debutta nel “live action”, dopo l’acclamata pellicola d’animazione Persepolis. I fan possono stare tranquilli, anche qui troveranno numerosi inserti animati, sfondi fiabeschi ridipinti e inserti onirici, per un prodotto che trabocca genio e sregolatezza da ogni inquadratura. Tratto da un fumetto vergato e disegnato dall’autrice stessa, Pollo alle prugne narra la storia di Nasser Ali (Mathieu Amalric), violinista senza più violino che anela solo la morte. Dal suo letto di dolore emergono intrecciate scene dal passato e previsioni per il futuro, narrazioni leggendarie e memorie di famiglia, utili a incastonare la sua vicenda personale in un flusso narrativo intermittente e tutto sommato universale, in quanto governato dall’amore. Nasser Ali è però un uomo sconfitto: il suo amor fou per una bellissima donna, che porta il nome simbolico di Iran (la Golshifteh Farahani di About Elly), e la sua passione per la musica si sono dovuti scontrare con mille difficoltà e pregiudizi sociali, legati soprattutto alla sua professione di artista.

Riecheggiando la struttura de Le mille e una notte, la Satrapi e Vincent Paronnaud aprono come un sontuoso ventaglio la linea basica del loro racconto, prediligendo uno stile sovraccarico e barocco. Non è però il linguaggio cinematografico che viene utilizzato per amplificare la storia (non ci sono particolari movimenti di macchina), sono piuttosto altri linguaggi (il fumetto, la fiaba, le scenografie, gli effetti digitali) a correre in soccorso dell’immagine cinematografica per arricchirla, forse fin troppo. Ne risulta un paradossale eccesso di verbosità visiva, fatto di numerose ripetizioni, ritorni indietro e citazioni non troppo originali. La fastidiosa sensazione di “già visto” si fa strada più volte e a tratti pare di trovarsi in un film di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro (in particolare Delicatessen). La nostra Sofia Loren è citata in quanto protagonista del film La donna del fiume, proiettato in un cinema di Teheran che si chiama, non a caso “Persepolis”. La Loren torna poi a tormentare i sogni del protagonista sotto forma di due enormi seni di gommapiuma, tiepido e soffice rifugio in cui lui affonda la testa in un idillio vistosamente felliniano. Oltre all’abbondanza di citazioni, anche la presenza di star internazionali (non solo Amalric ma anche Maria de Medeiros, Chiara Mastroianni e Isabella Rossellini) fa pensare che Pollo alle prugne sia un film pensato molto per il mercato occidentale e in particolare per l’intellettuale medio europeo. Avvalora questa ipotesi il fatto che il târ, strumento tradizionale suonato nel fumetto dal protagonista, diventi qui un più convenzionale violino. Lo stupore per le belle immagini non è dunque sufficiente e persiste il sentore di una certa ruffianeria. Tra flashforward che citano Natural Born Killers (la prefigurazione del futuro del figlio) e animazioni con Re Salomone, la Satrapi dissipa l’identità del suo film in innumerevoli e seducenti frammenti di visione, che ci allontanano dal nucleo pulsante della storia. Una maggiore coesione narrativa avrebbe forse fugato il dubbio – che tutt’ora persiste – di aver visto un film fatto per sedurre lo sguardo, ma appesantito da un eccesso di make up.

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