Di Costanzo/Marra raccontano Sarajevo

A Cannes, Leonardo Di Costanzo e Vincenzo Marra, insieme ad altri 11 colleghi ne I ponti di Sarajevo, esplorano il ruolo della città nella storia: la guerra e la possibilità di un dialogo. Progetto curato da Jean-Michel Frodon . Le nostre interviste ai registi italiani.
Intervista a Leonardo Di Costanzo a cura di Giovanna Barreca
Intervista a Vincenzo Marra a cura di Giovanna Barreca

Il critico dei Cahiers Jean-Michel Frodon, in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, ha chiamato 13 artisti dei quali conosce e apprezza il percorso artistico, oltre ad un maestro come Jean-Luc Godard, per raccontare Sarajevo, cent’anni della sua storia da quando ebbe un ruolo fondamentale nel conflitto ’15-’18, alla terribile serie di conflitti che l’hanno attraversata e segnata fino al nuovo secolo. Una Sarajevo da vedere e vivere anche come simbolo di una possibilità di dialogo.
Aida Begic ha partecipato con un corto chiamato Album, Ursula Mujo con Silence Mujo, Islid le Besco con Little boy, Teresa Villaverde con Sara et sa mère, Marc Recha con Zan’s Journey, Sergej Loznitsa con Reflexions, Jean-Luc Godard con Le ponts des soupirs, Cristi Puiu con Reveillon, Angela Schanelec con Princip, Texte, Vladimir Persic con Our Shadows Will, Kamen Kalev con Ma chère nuit.
Noi abbiamo incontrato Vincenzo Marra e Leonardo di Costanzo che, in 9 minuti hanno deciso di trattare il tema da altri da due punti di vista completamente diversi rispetto ai colleghi. Marra ambienta il suo film Il ponte a Roma per raccontare la diaspora, per puntare l’attenzione, con macchina da presa fissa e campi stretti, su due bosniaci da 20 anni nel nostro Paese perché fuggiti dal conflitto. Di religione diversa Majo e Fatima si troveranno a dover fare i conti col passato in occasione della morte del padre della donna.
Leonardo Di Costanzo invece con L’avamposto punta l’attenzione sul conflitto del 1915-1918. La narrazione prende spunto da un racconto di Federico De Roberto e sui 240 mila italiani che per ragioni diverse – su quasi sei milioni di soldati – decisero di disertare, di dire no. In una trincea, un piccolo plotone è impegnato a riconquistare una posizione ma gli austriaci riescono ad uccidere tutti coloro che tentano l’impresa. Il capitano vorrebbe non mandare fuori più nessuno ma la logica militare lo porta a chiamare un altro soldato. Il giovane ragazzo rifiuta. La costruzione filmica del racconto claustrofobico (la trincea è nella roccia ) gioca su inquadrature strette su dei giovani ragazzi, dai “volti antichi” – come dice l’autore, dai diversi dialetti (racconto anch’esso di un’Italia ancora in cerca di uan vera unità) che, per Di Costanzo era non solo l’occasione per tornare su una guerra ma per racconta tanto anche dell’oggi.

GIOVANNA BARRECA