Sguardi sonori

06/04/11 - In Sucker Punch nuovo film di Snyder, Tyler Bates e Marius De Vries usano canzoni famose come specchio della follia.

(Rubrica a cura di Emanuele Rauco)

sguardi-sonori-interno.jpg06/04/2011 – Spesso nel cinema, soprattutto hollywoodiano, le canzoni vengono usate per “riempire un buco”, ossia per sottolineare una sensazione, per ribadire un concetto non espresso dalla sceneggiatura o più semplicemente per tirare un ponte accattivante tra una scena e l’altra; in Sucker Punch, nuovo, discutibile film di Zack Snyder (Watchmen), le canzoni vengono usate dai compositori Tyler Bates e Marius De Vries come per rafforzare il discorso sull’identità e la realtà presente nel film.
Infatti, le canzoni presenti nello score sono quasi tutte cover, ossia brani famosi interpretati da altri artisti riarrangiati e reinterpretati per l’occasione, usando le stesse sonorità e atmosfere che i compositori hanno usati per la partitura originale: hard-rock e metal contemporaneo vivificati dall’elettronica post-industriale e dal sinfonismo da videogioco che accentuano la riflessione del film su chi siamo, su quale sia la realtà in cui viviamo, sul confine tra originale, copia, rivisitazione.

Una compilation d’inusitata perfezione “tamarra”, che parte con una sussurrata Sweet Dreams (Eurythmics) interpretata dalla protagonista Emily Browning e prosegue con l’esplosiva Army of Me cantanta da Bjork assieme a Skunk Anansie, passa dal rap campionato di I Want It All-We Will Rock You (Queen) di Armageddonal rock ‘n’roll di Search and Destroy (The Stooges) riveduta da Skunk Anansie fino ad arrivare all’emblematica Where Is My Mind (Pixies) cantata da Yoav e di nuovo da Browning. Un’operazione corposa, che farà storcere il naso di più di un appassionato (e al mero livello musicale non si può non pensare con nostalgia a molti degli originali), ma che ha una necessità interna alla pellicola da non sottovalutare, che ribadisce e segna il passaggio di strati e livelli ontologici così come quelli filmici. E’ un lavoro non facile che Bates e De Vries hanno fatto con cura e a cui non si può non rendere merito.

EMANUELE RAUCO

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