Flussi seriali

08/03/12 - The Hour: il giornalismo d’inchiesta degli anni 50 rivive in una serie che per look e contenuti fa il verso a Mad Men. Ma con aplomb britannico

Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti

flussi-serialiLa BBC racconta la BBC. Con la consueta pacatezza narrativa e un lieve tocco di autoreferenzialità. The Hour, miniserie creata da Abi Morgan, è stata trasmessa la scorsa estate in Inghilterra, e poi negli Stati Uniti, ma è ancora inedita in Italia. Dal taglio elegante e raffinato, il prodotto è stato già paragonato, per le sue tematiche e il suo look, alla New York del mondo pubblicitario della mitica Mad Men. Lo sfondo è quello dei tardi anni Cinquanta di una Londra cupa e obliqua del mondo del giornalismo televisivo e della politica. The Hour è la prima trasmissione al mondo di giornalismo d’inchiesta e di approfondimento ad essere trasmessa – proprio dalla BBC – in diretta televisiva. Lo snodo narrativo della serie è incentrato sulle vicende di Frederick Lyon, un giovanissimo giornalista dal piglio piuttosto scomodo, che perde la possibilità di condurre il programma a favore del più accomodante e affascinante (e raccomandato) Hector Madden. Lyon non risparmia politici, uomini ricchi e di potere dagli scandali che li coinvolgono, compreso il delitto di una giovane donna dell’alta società londinese, che fa tremare anche la Camera dei Lords. E fra i due uomini si frappone, oltre alla rivalità lavorativa, anche la bella e giovane produttrice Bel Rowley, combattuta fra l’amicizia per Freddie e l’attrazione per lo sposato e fedifrago Hector, fra il desiderio di emergere in un mondo di maschi e mantenere la sua femminilità, fra il compiacere i suoi capi e la deontologia del suo mestiere.

Sullo sfondo della crisi di Suez, che diventa veicolo per riflettere sul mezzo televisivo come fonte di informazione totalizzante e sull’impatto manipolatorio nei confronti dell’opinione pubblica, la sceneggiatrice di Shame e The Iron Lady, Abi Morgan, mescola generi e forme narrative, fra le quali spiccano il thriller, il dramma in costume e il sottotesto sociologico, ma è soprattutto uno spaccato sul mondo dei media e del giornalismo televisivo ai suoi albori con le sue regole e comportamenti ad emergere. La Morgan sottolinea le contraddizioni dei mezzi di informazione e lo racconta attraverso il dipanamento del mystery, che si richiama ai romanzi di John Le Carré (è il periodo della Guerra Fredda), dipingendo, al contrario del film su Margaret Thatcher, un ritratto del mondo politico molto poco agiografico. L’autrice, inoltre, non manca di costruire un’analisi storica e sociale dettagliata di quegli anni, dal ruolo della donna alla decadenza della classe nobiliare, al sessismo, al liberalismo culturale. Sono però le dettagliate ricostruzioni d’ambiente, lo stile di vita e i costumi a cogliere, come in Mad Men, l’essenza di una cultura popolare che trova attraverso le sue forme i suoi contenuti. E di conseguenza la chiave del suo cambiamento. Che è quello di una Nazione, nel 1956, al picco del suo declino – ancora sofferente per le restrizioni della guerra – un attimo prima della sua grande ripresa negli anni Sessanta. I tre protagonisti – Ben Whishaw, Romola Garai e Dominic West, fisicamente cesellati nel tempo – danno maggiore linfa alla struttura narrativa attraverso una inattaccabile caratterizzazione psicologica. La confezione brilla per una regia sapiente e tesa, elegante e funzionale, che trova la sua bellezza in un’estetica che omaggia il cinema di quegli anni, da un montaggio serrato e pieno di suspense a una fotografia densa e livida. E come il cinema di oggi sembra tornato alla ricerca di un classicismo autoriale, anche la serialità sembra spinta verso questa direzione: ricostruire il passato con i suoi stessi linguaggi. Un paradosso, considerato che si sta andando nella direzione opposta, perlomeno per quel che riguarda il linguaggio dei media.