Fiuggi, impegno e fantasia

28/07/09 - Nella giornata di ieri sono passate in concorso a Fiuggi due opere interessanti, appartenenti...

Impegno sociale e fantasmagorie infantili: due film in concorso al Fiuggi Family Festival

(Dal nostro inviato Massimiliano Schiavoni)

asweforgive28/07/09 – Nella giornata di ieri sono passate in concorso a Fiuggi due opere interessanti, appartenenti a due mondi e a due codici linguistici molto lontani tra loro: “As We Forgive” di Laura Waters Hinson, e “Kdopak by se vlka bà l” (titolo internazionale: “Who`s Afraid of the Wolf”) di Maria Prochà zkovà . Il primo è un documentario, realizzato da una giovane filmmaker statunitense su ciò che rimane della sanguinaria guerra civile in Rwanda, avvenuta circa 15 anni fa. Si tratta di un`opera interessante, che raccoglie vive testimonianze di sopravvissuti al genocidio dei tutsi, e al contempo indaga i tormenti nelle coscienze di ex-carnefici e assassini hutu. La qualità  fotografica e l`impostazione tendente all`effettismo giornalistico rispecchiano in buona parte i canoni del documentario americano, che spesso rasenta e/o sconfina nel puro e semplice reportage. In vari passaggi pare di assistere a un dossier televisivo, con una sua narratività  molto didascalica e talvolta grossolana. Tuttavia, l`autrice riesce ad andare oltre ai fatti narrati, a sconfinare dalla superficiale ricostruzione cronachistica per giungere a una vera analisi e riflessione storica. O meglio, a una riflessione storico-etica. Mi riferisco soprattutto alle vicende, narrate in parallelo, di una donna, unica superstite tutsi di una famiglia di 30 componenti, e del suo carnefice hutu, ossia di colui che da buon vicino di casa si è trasformato in sterminatore. Waters Hinson segue i due personaggi in parallelo, li intervista, li mette di fronte ai loro dolori e alle loro coscienze. Per organizzare, poi, un incontro tra i due, dove si possa discutere di perdono e riconciliazione. Si tratta di una lunga serie di riprese assai emozionanti, dove la donna rifiuta più volte il perdono, e il carnefice appare ormai un vecchio realmente pieno di rimorsi. Può esistere perdono? Soprattutto, cosa deve provare l`essere umano, per avere la certezza di aver davvero perdonato? Il film solleva quesiti etici che trascendono la storia e la cronaca, e non dà  risposte definitive. Solo alle ultime battute Waters Hinson si rivela ottimista; il sostanziale perdono finale della donna tutsi appare una mise en abyme del processo di riconciliazione nazionale che da qualche anno è promosso dallo stato in Rwanda. Tutsi e hutu torneranno a costituire un`unica realtà , ma con piena consapevolezza storica del loro tragico passato.

Il film di Maria Prochà zkovà , invece, è un dramma familiare piuttosto convenzionale, tutto centrato su un punto di vista infantile (la protagonista è Tereza, una bambina di 5-6 anni che vede rovinarsi il rapporto tra i suoi genitori); viene in mente l`ormai proverbiale “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica, e tutti i suoi epigoni, come “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart (assai più emozionante e riuscito, a dire il vero, rispetto al film di Prochà zkovà ). Alla generale convenzionalità  della storia e soprattutto dei mezzi espressivi, l`autrice affianca un tentativo, questo sì molto interessante, di riflessione fantasmagorica sull`infanzia. Tutta la vicenda è seguita parallelamente dal leit-motiv della fiaba di Cappuccetto Rosso, e via via che la bambina protagonista viene a scontrarsi con la drammatica realtà  della sua vita familiare, la sua reinterpretazione dei fatti è filtrata tramite una trasfigurazione fantastica. Così la bambina si convince di essere figlia adottiva, sua madre è un`aliena, e nei momenti di maggiore turbamento interviene anche il cartoon, a modificare la realtà  a seconda dei desideri di Tereza. E` un afflato fantastico di breve respiro, intendiamoci, che però testimonia la volontà  dell`autrice di riflettere sulla realtà  narrata e di uscire dai confini della convenzione melodrammatica familiare.

Un`ultima nota, infine, sul film della sera, un omaggio al Presidente di giuria, Alessandro D`Alatri con la proiezione di uno dei suoi film più noti e di maggiore successo: “Casomai”, con Stefania Rocca e Fabio Volo. E` un film che invecchia bene: risale ormai a 7 anni fa, e quella che all`epoca poteva sembrare una consueta commedia sentimentale italiana sui trentenni, si configura adesso come un`apprezzabile commedia sociale, che racconta un`Italia già  un po` diversa rispetto all`attuale. Quel che fa la differenza (rispetto, ad esempio, ad analoghi prodotti mucciniani) è la vera partecipazione emotiva dell`autore, D`Alatri credeva molto in ciò che stava narrando. A sprezzo di qualche rigidità  schematica di sceneggiatura, e di qualche vero scivolone (il lieto finalino grida ancora vendetta), il suo film è uno dei più vicini a quel realismo sentimentale che una buona parte degli autori italiani attuali si pongono come obiettivo. A domani.