Arrivano i nostri

23/04/09 - La presunta autorialità  di molti registi italiani continua, a nostro avviso, a impedire...

Arrivano i nostri

(Rubrica a cura di Alessandro Aniballi)

23/04/09 – La presunta autorialità  di molti registi italiani continua, a nostro avviso, a impedire la (ri)formazione di un cinema capace di osservare il reale con spirito, coerenza e anche – perchè no – un minimo di umiltà . Ne sono testimonianza due film in realtà  molto diversi, anche per il destino che hanno incontrato al box office, come “Gli amici del bar Margherita” di Pupi Avati e “Il caso dell`infedele Klara” di Roberto Faenza.

arrivano-i-nostri-interno.jpgIl cinema di Avati a dirla tutta si distingue normalmente per una onesta commercialità . Il regista bolognese è, secondo noi, un ottimo mesteriante, forse il migliore che possiamo vantare oggi nel nostro cinema. Si vedano in proposito i suoi due titoli precedenti a questo, “Il nascondiglio” e “Il papà  di Giovanna”: due storie completamente diverse fra loro che però si reggono su una struttura narrativa ugualmente solida. àˆ la volontà  di raccontare che sostiene il cinema del regista bolognese, anche quando si tratta di piccole storielle, magari banali, ma spesso pregnanti (si pensi a “La cena per farli conoscere”, che ruota per l`appunto solo intorno al tema del desinare serale). Quel che non convince ne “Gli amici del bar Margherita”, allora, è proprio la mancanza di questa “mission”. Nel suo ultimo film Avati sceglie piuttosto la descrizione di un mondo, quello della sua giovinezza, costruivendovi intorno una serie di ritratti decisamente statici. I protagonisti di questa sua pellicola corale ci pare che restino involontariamente imprigionati negli angusti limiti dello scatto fotografico che apre e chiude il film. Se tutto quel che accade ai personaggi dà  sempre l`impressione di non essere irreversibile, ecco allora che lo spettatore non viene spinto a interessarsi del loro destino. E in effetti ciò che Avati sembra privilegiare è il bozzetto, il ritratto evocativo, un po` nostalgico e magari anche un pochino cinico. Ma tutto pare inutile ed episodico, se per l`appunto non ci viene chiesto di parteggiare per una storia precisa (che poteva anche essere collettiva, sia chiaro). In proposito molti hanno detto che Avati ha descritto i suoi vitelloni o si è preso lo sfizio di fare il suo “Amarcord”. Il problema è appunto questo: il modello felliniano è irrangiugibile proprio perchè il maestro riminese sapeva benissimo fare a meno del racconto, procedendo per strappi ed ellissi, evocando e suggestionando grazie alle sue straordinarie doti visionarie. Tutto ciò evidentemente manca ne “Gli amici del bar Margherita”.

Molto diverso è il caso di Faenza. Il suo film intanto, rispetto alla pellicola del collega bolognese, è andato molto male in sala ed è stato stroncato senza pietà  dalla critica. Allo stesso tempo “Il caso dell`infedele Klara”, al contrario di quel che accade ne “Gli amici del bar Margherita”, ha una veste da film di genere, da thriller in particolare. In tal senso sembra che Faenza abbia voluto fare – involontariamente o meno – quasi una operazione filologica, con un uso frequente degli zoom, un riff musicale onnipresente e un doppiaggio approssimativo, come accadeva in parte del nostro cinema dell`epoca. Queste caratteristiche però fungono da veste per una pellicola che in realtà  ha delle presunzioni moraleggianti, come quella di riflettere sulla gelosia e sull`inevitabile fallimento cui incorrono prima o poi le coppie aperte. Tanto che la storia si conclude praticamente con un nulla di fatto e il destino dei personaggi muta solo in virtù di una elucubrazione sessuale, piuttosto che per delle meccaniche action come sarebbe stato richiesto per un autentico film di genere. Faenza insomma ha scelto di muoversi quasi come facevano Petri, Rosi e Damiani in certe loro operazioni dalla fine degli anni Sessanta in poi. Costoro però, nella costruzione dei “gialli d`autore”, erano guidati dalla passione civile e dalla denuncia dei nostri malaffari, e – sempre – da un solido plot. Qui Faenza sembra solo voler rispondere a una sua necessità  da divertissment.