Indielisboa: bilanci

11/05/10 - Chiusa la settima edizione dell’Indielisboa Film Festival è tempo di tirare le somme...

VII Indielisboa 22 aprile – 2 maggio 2010: Verdetti e bilanci. Note al margine.

Indielisboa 201011/05/10 – Chiusa la settima edizione dell’Indielisboa Film Festival è tempo di tirare le somme tentando uno sguardo complessivo sui dieci giorni di visioni e incontri appena trascorsi. Il premio Città di Lisbona per il miglior lungometraggio è andato a Go get some rosemary dei fratelli Safdie, qui all’esordio in coppia dopo una non breve gavetta separata, tra corti e lunghi. Il film guida il nutrito gruppo dei film indie, i titoli più classicamente segnati da uno stile fieramente minimalista: dialoghi ripidi e veristici, macchina a mano, fotografia eccentrica, drammaturgie ridotte a scarni canovacci. Parenti stretti nella stessa famiglia anche altri due degli statunitensi in mostra: il celebrato Greenberg, di Noah Baumbach nato sotto la protezione del protagonista Ben Stiller, e Beeswax del giovane Andrei Bujalski, allievo di Chantal Akerman ad Harvard, al suo quarto lungometraggio ad appena 32 anni.

Il documentario si conferma una delle declinazioni cinematografiche più care al festival che prosegue con successo una ricerca attenta non solo a seguire gli autori già affermati e riconoscere quelli ancora in via di fioritura, ma proponendo al pubblico rarità e titoli dall’ispirazione più popolare. Molti dei premiati sono stati film documentari. A cominciare dal già segnalato Les arrivants che si è aggiudicato il Premio Amnesty International e quello della sezione Pulsar domando, nella quale è stato presentato. Il cinema portoghese – e quello di non fiction in modo speciale – conferma una crescita che viene da lontano e nella quale Indielisboa ha la sua concreta parte di merito. Pelas sombras di Catarina Murao ha ottenuto il Premio Signis, consegnato per la prima volta a Lisbona da una giuria internazionale e interreligiosa, e il prestigioso Premio del Pubblico per il miglior lungometraggio; a Sem companhia di Joao Trabulo è andato invece il non meno nobile Premio Kodak per la miglior immagine in un lungometraggio portoghese, concorrendo accanto a film di finzione esteticamente notevoli come l’interessante dramma adolescenziale Guerra civil. Tra i titoli di non fiction più attesi e seguiti dal pubblico l’ultima fatica di Tom DiCillo, il rock-biopic When you’re strange, dedicato ai Doors e narrato dalla voce di Johnny Depp. Un film che farà parlare di sé nonostante, con la sua scrittura classica ed efficace, non offra grandi emozioni agli amanti di cinema.

ruhr james benningDiscorso a parte lo merita la fetta trasversale di dedicata ogni anno alla sperimentazione, al cinema “fuori formato”, agli ibridi. Scegliamo di occuparci di due estremi, tutti e due legati a doppio filo all’esperienza documentaristica. Carcasses del canadese Denis Coté prova a intraprendere la rischiosa e scoscesa strada della mescolanza tra narrazione dal vero e cinema di messa in scena incorrendo in una caduta rovinosa. Il percorso è quasi inedito: una lunga prima parte si sofferma sul personaggio protagonista, Jean Paul Colmor, “vero” settantaquattrenne vissuto per decenni solo, ai margini di una foresta, in mezzo alle carcasse, ai rottami e alle cianfrusaglie raccolte, ammassate e rivendute pezzo per pezzo; dopo quella che sembra l’introduzione di un buon documentario, il film si spezza con l’arrivo nel recinto del vecchio di una piccola comitiva di ragazzi down che si accampa tra le auto per qualche giorno, fino alla definitiva ripartenza, in seguito alla morte accidentale di uno dei membri del gruppo. Non solo il regista spreca con leggerezza un materiale cinematografico puro e forte, ma inspiegabilmente, una volta scelta la via della mescolanza di pratiche e di generi, manca l’affondo, accontentandosi di giustapporre arbitrariamente due nuclei narrativi, senza affondare le mani nel suo esperimento, senza neppure tentare di far brillare l’ordigno che sembra voler costruire. Su tutt’altro orizzonte si staglia Ruhur, granitico lungometraggio di James Benning, grande vecchio della scena sperimentale statunitense. Primo suo film su commissione, Ruhur è anche il primo progetto di Benning girato interamente fuori dai confini nazionali; a quanto raccontano alcuni dei suoi più stretti collaboratori, sarebbe addirittura stato tele-diretto da Benning che senza presenziare tutte le lunghe sessioni di ripresa, per una parte del film si sarebbe limitato ai sopralluoghi e alla scelta delle inquadrature. Girato in alta definizione digitale, Ruhur è strutturato in due parti: nella prima parte sei long shot su sei scene della regione tedesca della Ruhur, dieci minuti di tempo sospeso e apparentemente privo di una direzione occupano lo schermo sei volte, mostrando sei “non-azioni” diverse; nella seconda, un’unica eterna inquadratura da sessanta minuti si fissa su un’altissima ciminiera che sbuffa dense fumate bianche a intervalli regolari, illuminata prima dalla luce pomerdiana, poi da quella rosea e obliqua del tramonto, fino al fioco barlume notturno. Un’entusiasmante esperienza che riflette sul tempo e sullo spazio dentro e fuori il cinema, sul potere dell’immagine, sul valore della contemplazione e sulla visione come strumento di conoscenza profonda del mondo.

Indielisboa 2010 è ormai alle spalle. I segni distintivi di questa ultima edizione sono stati dunque una presenza in crescita del il cinema asiatico, una cospicua serie di temi sottotraccia (due su tutti: il primo, sul piano estetico, è il ritorno alle origini nel cinema di ricerca contemporaneo, il secondo, narrativo, la lettura e l’analisi del rapporto intergenerazionale genitori figli) che in parte rispecchiano fedelmente e con tempestività i movimenti tellurici della scena cinematografica internazionale, il continuo e coerente monitoraggio degli autori noti e di quelli da scoprire o da inserire nel canone ufficiale, ed infine la prima e più evidente affermazione di una nuova vitalità del giovane cinema portoghese.

(SILVIO GRASSELLI)