A lato del cinema

13/07/09 - Nella legge del 2004 che riordinò il sistema dei finanziamenti pubblici al Cinema...

A lato del cinema – fatti e misfatti intorno alla settima arte

Il lato del product placement

(Nuova rubrica a cura di Marco Giallonardi)

a-lato-logo-intero13/07/09 – Nella legge del 2004 che riordinò il sistema dei finanziamenti pubblici al Cinema, l’allora Ministro Urbani (rimpianto?) inserì anche delle paroline nuove, straniere, per molti oscure. Una di queste è diventata negli anni motivo di investimento importante per le società  di produzione italiana: product placement. Investimento di energie s’intende, dato che il product placement non è altro che un nuovo modo di finanziare un film, per giunta molto semplice: piazzare all’interno della pellicola marchi noti e riconoscibili facendo una pubblicità  che non è più occulta, ma visibile e legale. Niente più trucchetti bassi, come accadeva nei decenni passati, quando si poteva inquadrare per decine di secondi e senza motivo una bottiglia di amaro o un pacchetto di sigarette. Quello stesso pacchetto di
sigarette che Nanni Moretti sbandierava in “Ecce Bombo”, prendendo in giro Manfredi (“il più sfacciato di tutti”, lo accusava il leone di Monteverde) e tutti quelli che aggiravano leggi non scritte e facevano pubblicità  occulta. Oggi non è più così, oggi il brand è diventato caratterizzante, chiave di volta per la realizzazione di prodotti filmici. E da questa svolta epocale sono derivate delle macro-operazioni di dubbio gusto ma evidente efficacia. La più macroscopica è certamente “Natale in Crociera”, cine-panettone targato Filmauro interamente ambientato su una nave Costa, con il logo gigante e il profilo di uno dei suoi enormi piroscafi sul manifesto del film. Il brand diventa protagonista, non c’è che dire. Come con “Il Diavolo veste Prada”, altro esempio eccellente di una tendenza che ha tanti vantaggi finanziari quanto anche limiti e pericoli a livello di contenuto. Perchè se è vero che è più facile realizzare il film (sempre che all’azienda si offra visibilità , cast e referenze alte), è vero anche che poi il film si limita ad essere un contenitore vuoto marchiato a caldo e nulla più, un macro-spot che ha davvero poco a che spartire con il cinema.

Vedevo l’altra sera un nuovo film Cattleya, non dirò il titolo perchè vale quanto la maggior parte dei prodotti di questo Moloch del cinema italiano. Nel corso del film, si succedono in ordine di continuità  i seguenti marchi: FILA mentre lui fa jogging, HP quando accende il computer, CRAI quando va al supermercato, CHICCO nel walky-talky per sentire il bambino, HUGGIES sui pannolini poggiati sul sedile della macchina, START PEOPLE nell’azienda dove lavora la sua spasimante, ALICE quando controlla la posta elettronica, FRANKLIN MARSHALL quando torna a fare jogging, FELTRINELLI quando capita per sbaglio in libreria, GAROFALO quando prepara la pappetta al bambino. E si tratta solamente dei primi 30 minuti di film! Inutile poi scendere nel dettaglio e analizzare l’opportunità  di questa o quella presenza, nella maggior parte dei casi del tutto pretestuose e volte solamente a piazzare quanti più marchi possibile.
E’ un meccanismo strano e perverso questo del product placement, un’occasione ghiotta per accumulare i danari necessari alla realizzazione del film e allo stesso tempo una rincorsa folle che toglie energie e attenzioni che al contrario dovrebbero essere investite in altre sedi (sceneggiatura, recitazione, immagini).

Ma anche questo (ahimè) è un lato della questione spinosa e irrisolvibile sul cinema italiano di oggi, l’ennesimo sintomo di una malattia inguaribile: gli sforzi vanno sempre nella direzione sbagliata.