Aguasaltas.com

21/12/11 - La lotta di un villaggio per il copyright sul proprio nome cede a meccanismi da soap opera e scioglie le tensioni etiche in una sagra paesana.

In questi tempi di crisi economica non si fa altro che parlare di indici di borsa, spread, manovre e nuove tasse, mentre il problema della globalizzazione sembra non essere più all’ordine del giorno, né l’interesse preponderante di sociologi ed economisti. A riportare in auge la dicotomia tra globale e locale, perlomeno al cinema, ci pensa Aguasaltaspuntocom – un villaggio nella rete, un curioso film portoghese firmato da Luís Galvão Teles nel 2007 che soltanto ora raggiunge le sale nostrane (è l’unica uscita prevista per il 30 dicembre 2011), grazie alla distribuzione della Kitchen Film. Nel villaggio lusitano di Aguas Altas, sito su una graziosa penisola al centro di un lago incontaminato, un giovane e avvenente ingegnere sogna di costruire ponti e superstrade, con la complicità della popolazione locale. Per sponsorizzare il suo progetto ha aperto un sito internet: aguasaltas.com, che presto si trasforma nella pietra dello scandalo capace di dividere gli abitanti del luogo, rispolverare l’antico astio tra Spagna e Portogallo, trasportare la località al centro di un caso internazionale. A Madrid, infatti, una multinazionale ha registrato il marchio “aguasaltas”, e il relativo dominio, per lanciare sul mercato un’omonima acqua minerale e ora chiede ai poco facoltosi paesani di cedere il passo (almeno sul web) o di pagare ben 500.000 euro.

Con ironia e partecipazione il regista Luís Galvão Teles intesse una favola contemporanea, intrisa però di problematiche scottanti. Si sofferma a lungo sulla caratterizzazione, che sfiora il bozzettismo, degli abitanti del luogo,  lasciando emergere la loro sete di denaro, di visibilità internazionale, le ambizioni turistiche e persino un soprendente antinazionalismo. C’è infatti chi si dichiara pronto a vendere il nome di “aguasaltas” alla multinazionale spagnola, chi sogna il mostro ecologico dell’ingegnere per rendere il villaggio più raggiungibile, chi invece ne difende l’identità e il nome. Ma soprattutto ci sono i giovani che si innamorano, le comari che spettegolano e tutta una varia umanità (scemo del villaggio compreso) pronta a schierarsi ora da una parte, ora dall’altra. Ma le tensioni etiche si sciolgono presto in soap opera o in satira di costume (vecchi asti, mariti cacciati di casa, chiacchere da bar) e i discorsi sul capitale e sulla globalizzazione diventano via via sempre più ambigui fino a dissolversi in una variopinta e danzereccia sagra paesana. Ed è un vero peccato, perché il film, grazie al potenziale eversivo della storia raccontata, poteva dimostrare maggior coraggio e riaprire un dibattito ancora profondamente attuale.

DARIA POMPONIO

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