Altman: l’omaggio torinese

09/12/11 - La kermesse ha proposto una rassegna completa, corredata da un volume ricco di inediti e dall'incontro con l'entourage dell'artista.

Dalla nostra inviata LIA COLUCCI

Ascolta l’intervista a cura di RADIOCINEMA a:

  • l’attore Keith Carradine
  • E’ stata la sua assenza a determinare la più forte presenza alla 29/a edizione del Festival di Torino la cui direzione artistica non poteva regalarci una retrospettiva più ampia e completa di quel geniaccio di Robert Altman (nato a Kansas City nel 1929 e morto a Los Angeles il 20 ottobre del 2006). Vagando per le sale della kermesse non si poteva far a meno di percepire il segno del regista mentre la sua carriera, e quindi la sua vita, venivano sciorinate nei luoghi della manifestazione: dai film industriali tra il 1949 e il 1950 al suo pessimo debutto a Hollywood nel ’55 con The Delinquents che fu ritirato dallo stesso regista non contento del risultato. Quindi è il momento delle serie televisive, alcune addirittura con Hitchcock, abbandonate presto perchè la voglia di cinema è troppo grande. Infatti nel 1970 arriva M.A.S.H (da cui poi ironia della sorte sarà tratta una serie tv) anarchico, irriverente, cinico ed anticonformista che porta alla ribalta due talenti come Elliot Gould e Donald Sutherland, con cui vince il Festival di Cannes. A questo successo fa seguito Nashville una splendida parodia corale sul mondo dello spettacolo e sul suo esasperante cinismo. In fondo la produzione altmaniana gioca su due piani quasi paralleli: quello della coralità e quello dell’intimismo da camera, dei primi fanno parte sicuramente M.A.S.H, Nashville e più tardi Gosford Park, dell’altro un rapporto più stretto con i personaggi, con le emozioni, con le illusioni tra cui potremmo mettere Images, Jimmy Dean, Jimmy Dean, e forse in qualche maniera anche Il lungo addio. In fondo sono le due facce della medaglia: il clamore della folla selvaggia che distrugge i personaggi e gli stessi personaggi che si corrodono nella loro solitudine.

    A corredare l’omaggio della manifestazione il volume, edito da Castoro e curato da Emanuela Martini che contiene inediti, celebri interviste e conversazioni realizzate appositamente, e offre una suggestiva ed esaustiva panoramica sull’intero percorso artistico, cinematografico e personale del regista americano, arricchendola di voci, testimonianze dirette e ricordi privati di attori e collaboratori a lui più vicini. Oltre ai saggi di Emanuela Martini, Giulia Carluccio ed Enrico Magrelli, il volume presenta contributi di: Guido Fink, Gualtiero De Marinis, Mark Minett, Robert Benayoun, Jonathan Rosenbaum, Michael Henry, Franco La Polla, Brian Case, Luca Malavasi, Gianni Amelio; una corposa serie di interviste al regista (tra cui la lunga conversazione di Altman con Michel Ciment e Bertrand Tavernier), ad attori (a Shelley Duvall di Michel Ciment, a Elliott Gould di Jon Zelazny) e interviste realizzate per questa pubblicazione con gli attori Keith Carradine e Michael Murphy, con il produttore Matthew Seig e con il figlio e scenografo candidato all’Oscar, Stephen Altman. A completare il volume, un ricco apparato galleria fotografica di 144 immagini tratte dai film e dai set cinematografici.

    A Torino alla conferenza di commemorazione del grande regista, alla presenza della moglie Kathryn Altman, del figlio Stephen Altman , che spesso ha collaborato con il padre, e degli interpreti Keith Carradine, rimasto impresso in tutte le menti per la sua canzone I’m easy, Michael Murphy e Matthew Seig, l’elemento che è emerso sopra gli altri è stata la necessità di Altman di creare uno stretto gruppo di lavoro, di quanto avesse bisogno più che di un set di una grande famiglia, senza cui non avrebbe potuto lavorare. La moglie in questo ha avuto un ruolo essenziale: gli ha costruito intorno un ambiente confortevole. Dal canto suo Carradine , che si è dichiarato un bravo ragazzo, non ha mai capito come Altman riuscisse a creare per lui delle parti da mascalzone da fargli interpretare, personaggi di cui le donne s’innamoravano puntualmente. Poi la moglie Kathryn ha svelato in che modo il regista sceglieva gli attori. Una selezione che avveniva a pelle, per istinto. “Sì, certo andava a vedere i film oppure a teatro e dava sempre un’occhiata ai candidati proposti dagli agenti, ma per scritturare qualcuno doveva scattare un feeling, altrimenti non se ne faceva niente” – ha continuato la vedova del cineasta. Un feeling che con Hollywood non scattò mai veramente, forse neanche quando con passo stanco andò a ritirare l’Oscar alla carriera, proprio nell’anno della morte il 2006. L’ultimo vero omaggio da parte di quella Hollywood, amata e odiata, che in fondo era riuscito a sconfiggere.

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