Sotto Assedio – White House Down

Dopo "Attacco al potere", un nuovo film mette in scena l'assalto alla residenza del Presidente degli Stati Uniti. Ma, stavolta, grazie alla regia di Roland Emmerich e al duo Jamie Foxx-Channing Tatum, ci si prende meno sul serio e ci si diverte di più.

Il simbolo del potere americano – la Casa Bianca – era stato già oggetto di distruzione nel 1996 in Independence Day di Roland Emmerich e, dopo tutta una serie di immaginarie catastrofi cinematografiche incorse in terra statunitense, compreso il recentissimo Attacco al potere – Olympus Has Fallen di Antoine Fuqua, lo stesso Emmerich con Sotto assedio – White House Down ha voluto rimettere mano al tema, dimostrando di essere probabilmente il migliore catastrophe director in circolazione. La definizione può apparire ironica, eppure non è così, perché ci vuole senz’altro del talento per descrivere, sotto forma di blockbuster, un “attacco al potere” in maniera ironica e coinvolgente, senza mai perdere di vista il discorso politico di fondo e senza togliere allo spettatore il piacere di rimanere pervaso dalla cosiddetta sospensione dell’incredulità dall’inizio alla fine del film.

Rispetto ad Independence Day, Emmerich svolge il suo film quasi interamente all’interno della Casa Bianca, per una sorta dramma da camera e per una sostanziale riproposizione della trama proprio di Attacco al potere. Come nel film di Fuqua, infatti, anche in Sotto assedio – White House Down il protagonista è un marginale (Channing Tatum) che, inizialmente solo per caso e poi per abilità, si ritrova ad essere l’ultimo baluardo contro gli invasori e l’unico in grado di poter salvare il Presidente (Jamie Foxx). Ma, come detto, Emmerich riesce ad essere più efficace di Fuqua grazie a una maggiore dose di ironia, a una notevole serie di trovate e colpi di scena e, non ultimo, grazie a un discorso politico che sa cogliere al meglio le contraddizioni del presente.

Non a caso, il Presidente Jamie Foxx guarda direttamente ad Obama e gli assomiglia sia per una questione generazionale – forse da adesso in poi sono finiti i tempi in cui Morgan Freeman sarà chiamato a rivestire ancora una volta questi panni – sia per quel carattere, tipico di Obama, che sa unire posa istituzionale, carisma e humour. Ma il Presidente di Foxx rimanda all’attuale POTUS anche per un discorso più prettamente politico: ossessione del personaggio che interpreta nel film è infatti quella di essere ricordato come uno di quei presidenti che, al pari di Lincoln e di pochi altri, hanno fatto la “differenza” e hanno saputo imprimere una svolta positiva e pacifista alla storia; un personaggio che – come immaginiamo possa fare Obama – tiene sul comodino un libro di Nelson Mandela. Eppure le promesse e le speranze della presidenza Obama, quantomeno su un piano internazionale, sembrano finora disattese ed è anche questo che, da ottica liberal, ci sta dicendo Emmerich.

Ma, secondo una regola che lo stesso Emmerich ha sempre saputo seguire meglio di altri, in ogni blockbuster che si rispetti il discorso politico non deve mai prevaricare quello spettacolare: così la proposta del Presidente interpretato da Foxx di pacificare tutto il Medio Oriente, stilando un accordo con l’Iran, vale da motore del film e insieme da scusa per un attacco interno, con un gruppo di destrorsi che prendono possesso della Casa Bianca e si trovano a sorpresa a dover fronteggiare l’ignoto coraggioso John Cale, Tatum per l’appunto, spalleggiato da sua figlia, una ragazzina di dieci anni, che posterà sul suo canale Youtube le immagini dei terroristi. E il film, tra sparatorie e risse a mani nude, colpi di penna che si riveleranno più dolorosi delle spade e immani rischi nucleari, si trasformerà in una sorta di buddy movie con Tatum e Foxx impegnati a salvarsi la vita l’un l’altro e protagonisti di una serie di ingegnose sequenze (vale la pena di citare almeno l’inseguimento in limousine nel giardino della Casa Bianca, un momento da screwball comedy).

Da un lato Emmerich non perde mai il filo del racconto e lascia che ogni dettaglio di scrittura torni poi ad essere importante al momento giusto, dall’altro non perde occasione di dimostrare che se la stampa tradizionale può fallire (lo scoop giornalistico avviene ad opera di una ragazzina e non dell’azzimato showman preso anche lui tra i prigionieri), se le potenti corporation delle armi possono essere sconfitte, se le tecnologie di controllo e di difesa della maggior potenza mondiale possono fallire, il cinema – che può e sa ancora raccontare tutto questo – resta lo strumento propagandistico per eccellenza, l’unico in grado di costruire una narrazione coinvolgente e in questo caso anche pacifista; in fin dei conti lo strumento più potente in mano agli americani, perché capace di gestire e forgiare l’immaginario globale. Un film più obamiano dello stesso Obama che si propone già al titolo di miglior blockbuster della stagione.

Alessandro Aniballi per Movieplayer.it Leggi