Capitalism: a love story

30/10/09 - “Capitalism: A Love Story”. La storia d'amore di un paese, e di tutto il mondo occidentale...

Michael Moore infiamma lo schermo con un nuovo tassello al suo mosaico della decadenza Usa

capitalism20130/10/09 – “Capitalism: A Love Story”. La storia d’amore di un paese, e di tutto il mondo occidentale, con un`ideale di vita che teoricamente dà a tutti pari opportunità di felicità e realizzazione. Una storia d’amore che, dopo tante peripezie, è entrata nella sua fase più controversa con le vicende all’origine dell`attuale crisi economica globale. Forse qualcuno si sta veramente disamorando, forse s`inizia ad avvertire il bisogno di tornare a valori diversi, a modelli economici che abbiano maggior rispetto, e magari vero amore, per l`essere umano.

Diciamolo subito, non è argomento nuovo ma vale la pena ribadirlo: Michael Moore chiede allo spettatore di sottoscrivere diversi patti prima di approcciarsi ai suoi film. Più o meno bisogna pensarla come lui e accettare una forte componente persuasiva e affabulatoria, ma i suoi sono film strettamente a tesi. Secondo: Michael Moore non è un documentarista, malgrado sia assurto alla notorietà internazionale sotto tale etichetta. Sebbene “Capitalism” sia forse la sua opera più vicina a un vero documentario, il suo tono rimane sempre molto declamato, con corredo di spirito sarcastico e/o indignato. Il taglio dato alle scelte narrative, agli accostamenti di montaggio tra i materiali di repertorio, è sempre programmatico, da grande accusatore, da pamphlet. Terzo: capita quasi sempre di non amare i suoi finali, che, in un modo o nell`altro, si ripiegano ogni volta in un grossolano populismo da slogan (caratteristica confermata anche in “Capitalism”).

capitalismTuttavia, questa sua ultima fatica, passata in concorso a Venezia, mostra un Michael Moore in evoluzione. Se la sua punta massima di populismo e declamazione era stata raggiunta con “Fahrenheit 9/11”, e in parte era già mitigata in “Sicko”, in “Capitalism” si nota una maggiore asciuttezza, un`indignazione sentita ma razionale, una rabbia non isterica ma coltivata e metabolizzata, che si riconverte in un attacco al capitalismo ben argomentato, frutto di un evidente, profondo lavoro di ricerca. Traendo spunto dalla recente crisi economica, Moore risale alle radici del male, conduce un`indagine sui primi passi del capitalismo negli Stati Uniti, si sofferma ad analizzare il ruolo svolto dall`amministrazione Reagan nell`inasprimento del modello economico e della relazione con i sindacati, e inevitabilmente identifica nella gestione del sistema bancario occidentale la causa principale del disastro. Senza tralasciare piccole, grandi nefandezze (quelle iniquità che di rado giungono alla ribalta internazionale), come la lobby delle carceri minorili (private). Mentre Moore sembra guadagnare un miglior controllo sulla sua tendenza aggressiva, si perfezionano anche le sue scelte estetiche. Il montaggio dei brani di repertorio assembla stavolta materiali assolutamente eterogenei (soprattutto nella prima parte in funzione ironica), pervenendo a un`estetica da patchwork visivo di grande pregnanza, sia sul piano stilistico che semantico. La proiezione stampa effettuata durante la Mostra del Cinema di Venezia si è chiusa con un applauso scrosciante: che lo si voglia o no, che piaccia o meno, e al di là dei meriti artistici, è davvero difficile restare indifferenti alla trascinante potenza affabulatoria di Michael Moore.

(MASSIMILIANO SCHIAVONI)

Titolo originale: Capitalism: A Love story
Produzione: USA 2009
Regia: Michael Moore
Durata: 120′
Genere: documentario
Distribuzione: Mikado
Data di uscita: 30 ottobre 2009