Dark Horse

06/09/11 - Un nuovo ritratto al vetriolo della famiglia media americana firmato da Todd Solondz, geniale e caustico come sempre. In concorso a Venezia 68.

Dalla nostra inviata DARIA POMPONIO

Succede anche ai più cinici, in talune occasioni, di aprire la loro cupa weltanschauung a qualche spiraglio di sereno. È il turno, questa volta, dell’autore più caustico e feroce del cinema indipendente americano, Todd Solondz che, con il suo nuovo film, Dark Horse, si dedica al genere “boy meet girl”. Abe (Jordan Gelber) incontra Miranda (Selma Blair) a un matrimonio e se ne innamora perdutamente. Lui è un bamboccione corpulento che lavora nell’azienda immobiliare paterna, lei è una bella ragazza affetta da evidenti nevrosi. La rivelazione di uno scottante segreto da parte di Miranda, trasforma questo amore nascente in un atto dettato da opportunismo e compassione.

Distante dal precedente Perdona e dimentica, pellicola più corale e dove l’impianto simbolico travalicava le vicende dei personaggi, Dark Horse è un’istantanea raggelante sulla famiglia medio-borghese americana (classico topos del cinema di Solondz), ma anche una sorprendente storia di sentimenti. Solondz punta il dito ancora una volta contro l’istituzione della famiglia, nucleo malefico di una società in avanzato stato di decomposizione e lo fa soprattutto con una descrizione al vetriolo degli “adulti”. I genitori di Abe, interpretati magistralmente da Christopher Walken e Mia Farrow (lui con un vistoso toupet, lei con un’inquietante messainpiega immota) sono descritti come perennemente ipnotizzati di fronte alle sitcom televisive, mentre il padre e la madre di Miranda (rispettivamente Lee Wilkof e Mary Joy), appaiono sempre assorti nella lettura di ingombranti quotidiani. Ben differente è però lo sguardo che Solondz posa sul suo protagonista, combattuto tra compassione e totale empatia. Vittima sacrificale di una società bieca e dedita al profitto, il nostro supernerd rivela inoltre una perfetta consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda e si fa portatore di alcune massime altamente condivisibili del calibro di “Siamo tutti persone orribili” e “l’umanità è una cloaca”. Presentato in concorso a Venezia 68, Dark Horse diverte e solletica le sinapsi, proponendoci una serie di perle di saggezza anticapitalistiche, incisivi inserti onirici e improvvise esplosioni di agghiaccianti pop song, genere musicale preferito dal nostro Abe. Resta poi decisamente impressa nella mente un’acuta analisi della vita realizzata da uno dei personaggi: non fa credito, non si può cambiare e non è previsto rimborso.