Drive Angry

06/04/11 - Un Nicolas Cage on the road incendia il nuovo film in 3D del regista di San Valentino di sangue Patrick Lussier.

Nonno Nicolas Cage è tornato dall’inferno con un toupet biondo-meshato per vendicare la figlia e salvare la nipotina dalle grinfie di un perfido satanista (Billy Burke) che si aggira per la Louisiana scortato da un manipolo di bifolchi armati di vanghe e roncole. Ad accompagnare John Milton, questo il nome del personaggio interpretato da Cage, con chiaro riferimento a quell’omonimo che scrisse il poema “Paradiso perduto”, troviamo una procace e manesca cameriera del Colorado, interpretata dalla nuova eroina dell’action statunitense Amber Heard(The Ward).

Non ci possiamo più lamentare, il B-movie pare finalmente tornato sul grande schermo, con il fermo intento di rinvigorire una stagione cinematografica pervasa da un plotone di commedie nostrane più o meno convincenti. Dopo Piranha 3D, Sanctum 3D e, soprattutto, prima del Machete di Rodriguez, ecco dunque arrivare dallo schermo (il film è a tre dimensioni), Drive Angry, un action/road movie con un pizzico di soprannaturale. Che a dirigere i giochi ci sia il diabolico duo che ci ha donato San Valentino di sangue 3D (campione di incassi del tutto immeritati) lo si intuisce al primo volteggiare di un arto sanguinante verso la platea, Patrick Lussier e Todd Farmer, rispettivamente regista e sceneggiatore, ce la mettono proprio tutta per garantire il sollazzo del pubblico e ci presentano un film decisamente più convincente del precedente. La tridimensionalità è un accessorio abbastanza trascurabile per questa pellicola, densa di trovate trash, esplosioni, personaggi sopra le righe e gustosi picchi di gore. Quanto agli inseguimenti, forse avrebbero meritato una più accorta messa in scena, ma tant’è. Peccato poi per quei due o tre “spiegoni” narrativi che irrompono nel flusso del nonsense ipercinetico per ricordarci che il personaggio ha un passato, una missione da compiere, un destino, o meglio, un’eternità ultraterrena alla quale non può sfuggire. La verbosità di questi momenti provoca infatti non pochi sbadigli, pensiamo qui soprattutto alla scena che precede il roboante finale e al di poco antecedente incontro di Milton con l’ex buddy interpretato da David Morse. Ci consoliamo con alcune sequenze al fulmicotone, come il folgorante incipit del film, dove l’apparizione di Milton/Cage tra lamiere contorte da un rocambolesco inseguimento, è degna di una diva del cinema hollywoodiano d’altri tempi: come una Marlene Dietrich odierna, Nick agita la chioma, inclina lo sguardo ed è pronto ad incendiare lo schermo.

Numerose dunque le scene di culto, una su tutte: il nostro eroe impegnato in un amplesso da motel completamente vestito di nero, con un sigaro acceso tra le labbra e in mano una bottiglia di whisky. Non riveliamo altro per non rovinare la sorpresa, ma possiamo dire che come questo, molti altri momenti sfiorano il sublime. Tra femori riciclati come bastoni da passeggio, fondine pitonate, arsenali inesauribili, auto d’epoca lucenti e rombanti, chiome al vento e hot pants, un gustoso feticismo del dettaglio incanta e seduce lo sguardo dello spettatore. E mentre i nostri eroi scorrazzano per le interstatali del profondo sud statunitense, seminando la loro scia di sangue e facendo fuori anche un paio di poliziotti, viene da pensare quanto un film del genere sia impossibile da realizzare dalle nostre parti. D’altronde il poliziottesco, grande rimosso del cinema italiano odierno, è ormai un cimelio da esibire in rassegne “cult” o un utile tappabuchi per seconde serate Tv.

DARIA POMPONIO

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