Falso Specchio

14/04/09 - Il terremoto. Quante parole e quante immagini in questi giorni di lutto e sgomento...

Falso specchio – Finalmente documentario

(Rubrica a cura di Silvio Grasselli)

falso-specchio-interno.jpg14/04/09 – Il terremoto. Quante parole e quante immagini in questi giorni di lutto e sgomento ci hanno riempito occhi e orecchi. Ma all`Icononauta non interessa fare qui un`analisi dei mezzi d`informazione in Italia, metter su grafici e tabelle, usare strumenti della sociologia o della teoria della comunicazione. Proviamo ancora una volta a restare sul cinema, e sul “cinema della realtࠔ. In occasione del terremoto in Abruzzo La Repubblica.it ha scelto di affidare la cronaca audiovisiva della catastrofe a cinque registi di nome, cinque registi di cinema, facendo così di ciascuno di loro un “cinegiornalista” apparentemente in perfetta consonanza con le idee di Cesare Zavattini (vedere alla voce “cinema pensato durante”). Sul sito della grande testata nazionale sono facilmente accessibili in streaming “L`assegnazione delle tende” di Paolo Sorrentino, “Le mani di Osmai” di Michele Placido, “Perfect day” di Mimmo Calopresti, “Nonostante tutto è Pasqua” di Ferzan Ozptek e, ultimo in ordine di realizzazione, “Le donne di San Gregorio” di Francesca Comencini (da non confondere con la sorella Cristina, più grande per età  e per fama). Qualche notazione a margine, allora.

Tra i cinque, solo Placido entra nell`inquadratura, addirittura portando la propria storia come riferimento diretto per i migranti macedoni con i quali dialoga, loro che in Abruzzo hanno trovato da anni una seconda patria. Calopresti e Comencini manifestano la loro presenza attraverso la sola voce; timida e discreta quella di Comencini, falsamente imbarazzata e imbarazzantemente fuori luogo quella di Calopresti (a una donna che gira attorno alla propria auto mutata in nuova sintetica abitazione, Calopresti non trova di meglio che chiedere: “Ha avuto paura?”) Quasi tutti fanno largo uso di musica a commento; Comencini e Sorrentino no. La regista, dal piglio più militante, sceglie di concentrarsi sulle sole voci di poche donne superstiti del piccolo borgo di San Gallo; Sorrentino invece, ancora più rigorosamente, compone una colonna sonora concretissima mettendo in collezione i suoni delle macchine al lavoro, i rumori della natura – che intanto sembra procedere indifferente accanto a tanto sconquasso -, le voci degli uomini e delle donne, trattate però come parti del rumore di fondo di quel paesaggio stravolto dal cataclisma. Molti inutili, alcuni raccapriccianti (Ozpetek fa addirittura peggio di quanto non sia riuscito a fare Studio Aperto), in generale letteralmente stupidi (Comencini e Sorrentino forse i due più dignitosi), nei cinque cortometraggi visti uno dopo l`altro, di cinema se ne trova pochissimo. E questo forse per due motivi tanto apparentemente banali quanto ineludibilmente importanti. Il cinema della realtà , il cinema non-fiction, il documentario non può limitarsi ad esser pratica sportiva, caccia e pesca di situazioni, volti, storie; esso è invece e prima di tutto scrittura che nasce da una relazione. Facile o difficile, dolce o amara, destabilizzante o regolata, l`esperienza documentaristica non può che esser centrata sulla relazione tra chi filma e chi è filmato. Si potrebbe quasi dire che senza preparazione umana, capacità  d`amare – in senso lato – l`altro, il cinema documentario resti opaca registrazione, rapina a mano armata della vita che (s)fugge. Posto dunque che uno sia sufficientemente umano per fare il documentarista, poco o nulla gli sarà  però concesso di ottenere se non avrà  il tempo necessario a disposizione.

Ecco allora. Questi “registi tra le macerie” – come furbescamente l`ha nominati La Repubblica – anche nei casi di maggior “cinematograficitࠔ sembrano incapaci di dire alcunchè, di rendere i propri occhi capaci di costruire o scoprire i nessi, le relazioni, per l`appunto, tra le cose, tra le persone; troppo pronti invece a sparare con le loro videoarmi digitali sulle prede che gli capitano a tiro, senza neppure prendersi (avere) il tempo di comprenderne le abitudini, i gesti, di scoprirne la complessa bellezza.