Far East, quinto giorno

30/04/09 - I film cinesi di questa edizione del Far East parlano decisamente il linguaggio della...

(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)

far-east-film-festival30/04/09 – I film cinesi di questa edizione del Far East parlano decisamente il linguaggio della commedia, sia per un restringimento delle maglie della censura in occasione delle recentissime Olimpiadi (in modo da dare un`immagine ottimistica del paese) sia per un progressivo mutamento dei gusti del pubblico, sia anche per un programmatico fagocitamento dei meccanismi di genere hongkonghesi più inoffensivi dal punto di vista politico. Fatto sta che il nuovo film di Ma Liwen, “Desires of the Heart” è nuovamente una commedia al femminile, in cui scorrono in parallelo (senza mai incontrarsi) cinque storie di donne con le loro rispettive relazioni sentimentali. Pare del resto che il risultato finale sia la conseguenza di un inconveniente non da poco: il divo Ge You, che abbiamo visto in questi giorni in “If You Are the One” di Feng Xiaogang e che doveva essere anche il protagonista di questo film, ha abbandonato il set all`improvviso, costringendo Ma Liwen a ripensare tutta la storia. Ne son venuti fuori dei racconti distinti, senza un effettivo filo unitario, e che possono lasciare in effetti un poco disorientati, ma allo stesso tempo non si può non convenire che “Desires of the Heart” riesca a comporre un ritratto composito della donna cinese di oggi e della sua incredibile forza di volontà . Più che altro verrebbe quasi da dire che il nuovo film di Ma Liwen, di cui avevamo già  apprezzato al Far East 2006 “You and Me” (altra storia al femminile), sia una sorta di “monumento” (pieno di sofferenza sotto il velo della leggerezza comica) all`eterno spirito di sacrificio del femmineo, con la conseguente condanna del mascolino e delle sue meschine menzogne. Il che, in qualche modo, potrebbe anche avere un briciolo di valenza di critica sociale, in un paese che proprio in questi anni, a seguito della politica del figlio unico, paga un prezzo salato: tutta una generazione di maschi che dovrebbe rappresentare la nuova classe dirigente è in realtà  “perduta”, vittima dell`educazione di genitori che li hanno vezzeggiati e viziati, fino a renderli incapaci di prendersi delle responsabilità  una volta diventati adulti.

Altra storia prevalentemente di donne è “The Way We Are”, l`ultimo film di Ann Hui, cui il Far East 11 ha anche dedicato una retrospettiva dei suoi lavori televisivi. Girato in digitale e a basso budget, “The Way We Are” è un`opera minimalista e, a tratti, sin troppo “dimessa” nel suo reiteramento ossessivo di gesti e riti quotidiani. Ne vien fuori una paradossale parabola sulla “nostalgia del presente”, il cui quieto e monotono scorrere instilla nei personaggi (e in particolare nel ragazzo apparentemente anaffettivo) una sorta di ontologico e inconsapevole “tedio domenicale”.

departuresDecisamente più variegato dal punto di vista emozionale è “Departures” di Yojiro Takita, il primo lungometraggio giapponese a vincere l`Oscar come miglior film straniero e di cui il Far East è riuscito abilmente ad accaparrarsi l`anteprima. Tra i festivalieri se ne attendeva con ansia la visione, spinti dalla curiosità  verso questo strano oggetto capace di cattivarsi le simpatie dei membri dell`Academy come non era mai riuscito a nessun altro cineasta giapponese da Ozu a Mizoguchi, da Kurosawa a Oshima, dal Kon Ichikawa de “L`arpa birmana” a Kitano, ecc. Ecco che allora, visto con un minimo di malizia, si intuisce perchè “Departures” sia piaciuto tanto agli americani. Se è vero che il film di Takita si sostanzia di una concezione antropologica tipicamente giapponese (la formalizzazione di ogni aspetto della vita, compresa la morte), allo stesso tempo esso si dota di una confezione che vien quasi da definire tipicamente hollywoodiana. “Departures” infatti è retto da una sceneggiatura da manuale, in cui tutto è stato pesato col bilancino, come si insegna sulla West Coast (a parte una ingenua sequenza di raccordo in cui il protagonista suona il violoncello in mezzo ai campi) ed ha anche una presenza a volte troppo enfatica della colonna sonora, dal gusto decisamente occidentale. Al contempo, però, non bisogna dimenticare che “Departures” dilata la durata delle sequenze secondo un gusto tipicamente giapponese o, meglio, secondo quella ritualità  nipponica che tutti sono in grado di riconoscere. Insomma se “Departures” ha permesso al Giappone di vincere l`Oscar è perchè si tratta certamente di un ottimo film, ma è anche perchè il suo brand culturale-antropologico è frutto di un ottimo fiuto imprenditoriale. Insomma più che il cinema-cinema, ha vinto per l`occasione la produzione cinematografica giapponese.

Ha chiuso la giornata di ieri un lavoro estremamente deludente: “The Forbidden Legend – Sex and Chopsticks” di Cash Chin. Il film che doveva rappresentare il grande ritorno dell`erotico (anzi, addirittura, si parlava di porno) nel cinema hongkonghese è invece un maldestro racconto di formazione sessuale che di erotico ha ben poco e di porno meno che mai, visto che si taglia sempre in modo tal da far vedere il meno possibile. Quel che poi fa rabbia è la confezione presuntamente extra-lusso: fotografia curata, interni pieni di cineserie, costumi d`epoca, ecc. Insomma manca qui quell`umiltà  e quell`autoironia che invece sostanzia il pinku-eiga giapponese e, senza neppure arrivare a parlare di senso estetico, latita anche qualsivoglia residuo di inventiva e fantasia.

Alla fine tra i delusi, qualcuno sa già  in cosa rifugiarsi: domani è un altro giorno, è il giorno dell`Horror Day!